IV

218 17 230
                                    

Settembre 1943

Il giorno dopo l'occupazione, Celeste si alzò per recarsi al pub. La routine che seguì fu la stessa di ogni giorno, ormai da anni: si lavò, si vestì, controllò che sua madre non avesse la febbre e poi si recò a preparare la colazione per sé e per le altre donne di casa, che si sarebbero alzate più tardi.

Mangiò quei pochi fiocchi d'avena che rimanevano, pensando al fatto che avrebbe dovuto fare la spesa. Si sentiva sconfortata: già la tessera permetteva di comprare poco, poi non avevano neanche i soldi sufficienti per tutti gli acquisti.

Si mise le mani in testa per riflettere. Guardò il solaio sovrappensiero. Se le cose continuavano ad andare così, sarebbe stata costretta ad aumentare almeno di un po' i prezzi del pub; ma, così facendo, avrebbe perso diversi clienti. Forse doveva trovarsi un altro lavoro, per potere rimanere in pari con il denaro che necessitavano per le compere e le medicine per la madre.

Uscì di casa, indossando il cappotto di quel colore che ormai la contraddistingueva: il celeste che le aveva dato il nome. Suo padre raccontava spesso che, quando nacque, gli afferrò con forza la camicia, che era proprio color celeste: per questo, lui e la moglie le avevano dato quel nome.

Il cappotto sarebbe stato molto elegante, se non fosse per il fatto che era totalmente consumato, per via dei tanti lavaggi che era costretta a fare. Si reputava fortunata a poter avere due cappotti, perché c'era gente nel viale che non poteva permettersene neanche uno.

Quando uscì di casa, si fermò a guardare il suo albero, ancora verdeggiante, che avrebbe iniziato a colorarsi di giallo, rosso e marrone di lì a poco, visto che l'autunno era alle porte. La scimmietta che era in lei si sarebbe arrampicata, se non ci fosse stato altro da fare al momento.

Voltandosi, si chiese da quanto tempo non salisse su quella pianta. Forse, da quando suo padre era morto; da quando, per necessità di aiuto nel pub, aveva dovuto abbandonare la scuola e iniziare a lavorare. Non lo ricordava. Eppure, sapeva che era molto tempo.

L'aria per le strade le era estremamente ostile.

Sentiva spesso la gente parlare alle sue spalle. Sapeva cosa gli altri pensavano di lei, ma fingeva che non le importasse, per quanto non sempre ne fosse in grado.

Passò davanti alla casa di una madre diciannovenne che disse alla vicina: «Guarda che spudorata. Va in giro ancora senza fede».

La vicina rispose acida: «Ma chi se la prende, con il caratteraccio che ha?»

La giovinetta si mise a ridere. «Su questo hai ragione!»

Celeste, presa dall'ira, decise di fermarsi tra le case delle due donne, per farsi vedere nella sua intera figura. «Se avete qualcosa da dire, sarebbe molto più carino se me lo diceste in faccia, pettegole!»

Le due donne, vedendola allontanarsi, sconvolte, si scambiarono altre parole malevole che Celeste non poté sentire: ma poco le importava. Infatti, lei sapeva che un giorno si sarebbe sposata: aspettava solo l'uomo giusto con il quale condividere un'intera vita. Piuttosto che ricevere sovvenzioni dal partito, preferiva vestirsi di stracci. Sapeva che quelle donne si erano sposate solo per ricevere i premi in denaro che il Duce aveva messo in palio. Ovviamente quei soldi avrebbero potuto tornarle utili, ma preferiva guadagnare poco in maniera onesta, anziché ricevere denaro perché "giovane sposa con molti figli": sapeva che quel denaro fosse sporco.

Rosa e CrisantemoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora