Erano passate ormai due settimane da quando quell'incubo era incominciato. Per gli ebrei del ghetto le cose non andavano benissimo. Le persecuzioni continuavano e, per la mancanza di lavoro, non tutti potevano permettersi di mangiare molto. Per non parlare delle condizioni igieniche, a causa dello sporco causato dalle esondazioni continue del Tevere.
La sera del 25 settembre si era concluso lo Shabbat, che, come al solito, la comunità aveva festeggiato.
Il giorno dopo fu di festa grande: un piccolo membro si univa alla comunità. Avrebbe vissuto quel momento che l'avrebbe reso responsabile della cura del Creato, come la Torah stabiliva.
Dopo aver portato a termine la circoncisione del bambino, l'esponente della comunità ebraica di Roma - che aveva officiato alla cerimonia - chiese il nome del bambino al padre: l'avrebbero chiamato Elia. «Ora possiamo concludere la cerimonia, signore».
Pronunciò quella frase nel momento in cui due uomini in divisa, un italiano e un tedesco, entrarono in sinagoga. «Sind Sie der Gemeindegipfel?» Siete voi il vertice di questa comunità?, chiese il tedesco a Tommaso Terracina, il quale rispose affermativamente. «Il maggiore Kappler vi invita al comando tedesco per darvi disposizioni sugli ebrei residenti a Roma».
«Ma... subito?» chiese Terracina, guardando il padre di Elia. Sperava che gli uomini almeno gli concedessero di terminare la cerimonia.
«Ja, sofort, wenn es Ihnen nicht ausmacht». Si, subito, se non vi dispiace, disse il tedesco con un tono così serio da spaventarlo.
Esitante, disse rivolgendosi all'italiano: «D'accordo, vi seguo».
Un suo amico, Daniele Volterra, gli si avvicinò e disse di volerlo accompagnare. Terracina acconsentì, dicendo che sarebbe stato meglio se fossero stati in due.
Raggiunsero Villa Wolkonsky in mattinata. Kappler li attendeva nel suo ufficio, sempre in divisa militare. Era molto serio e la sua postura composta, quando Terracina e Volterra entrarono.
I due si accomodarono sulle due sedie dinanzi la scrivania. L'uomo chiese una cosa che non capirono. L'interprete tradusse, chiedendo loro quanti fossero gli ebrei della comunità di Roma.
Si avvicinò a Terracina offrendogli una sigaretta. Titubante, l'uomo la prese e ringraziò. Rispose che gli ebrei della comunità erano meno rispetto che in precedenza, perché, visto l'aumento delle persecuzioni, molti se n'erano andati.
«Stanno bene di salute, gli ebrei romani?» tradusse l'italiano, la domanda che Kappler aveva posto.
«Miseria e malattia non mancano» rispose l'uomo con voce tremante, sperando che il tedesco non si aspettasse un altro tipo di risposta. «È difficile trovare e comprare medicine: è la guerra!» Si strinse nelle spalle. «Ma gli altri romani stanno su per giù come noi!» concluse Terracina.
Con tono arrogante, seduto ora in maniera totalmente scomposta, chiese: «È vero che gli ebrei di Roma sono i cittadini più antichi della città? E che non passano sotto l'arco di Tito, perché i loro antenati vi furono condotti come vinti?»
Terracina scrollò le spalle, e si voltò a guardare Volterra. Rispose affermativamente che si trattava di una tradizione antichissima che ancora veniva tramandata.
Cambiando argomento il tedesco disse, tradotto dall'uomo dietro di lui: «Speriamo che si costituisca in fretta il nuovo governo italiano, alleato del Reich. E che si occupi lui di voi!» Poggiando le mani sulla scrivania, e volgendosi in avanti verso di loro a mani giunte, disse che ora erano loro tedeschi a doversene occupare direttamente. «Il Führer ha scritto che ovunque si trami contro il Terzo Reich: lì, c'è sempre un ebreo».
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Rosa e Crisantemo
Historical Fiction1945. Roma. Una giovane donna lavora all'interno di una organizzazione che si occupa di aiutare i bambini e i ragazzi sopravvissuti ai campi di sterminio. Attraverso le loro storie ricorda anche la sua storia di guerra, nel 1943, quando l'occupazion...