⩩ 𝟭𝟬. 𝗼𝗳𝗳𝗲𝗿𝘁𝗼𝗿𝗶𝘂𝗺.

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Bellissimo. Il quadro che era davanti era davvero bellissimo. Si perse, come al solito, a guardare i dettagli, e rimase lì, a contemplarlo, a sussurrare nella sua testa come un salmo tutte le milioni di lodi che si meritava. 

"Kaeya", Kaeya non sentì, guardò i tratti, le macchie di colore stese sulla tela.

"Kaeya." Kaeya non sentì, osservò i giochi di luce che creava il vetro dipinto e i riflessi dell'orologio d'oro, sempre, magnificamente, dipinto.

"Kaeya!" Kaeya quella volta sentì, si girò un po' stranito verso il punto da dove proveniva la voce, guardò quel ragazzo biondo come inebetito, e poi si accorse che era Albedo.

Biascicò un sì?, poco convinto, e Albedo gli disse: "Apprezzo che ti piacciano i miei quadri, ma... ci sono anche io qui, eh" Sorrise amaramente. 

Kaeya lanciò un ultimo sguardo alla bellissima opera che aveva davanti, poi guardò Albedo, l'aveva fatta lui, l'aveva fatta lui! La passione che provava per quell'esile e quasi smorto corpicino, per quel ragazzino apparentemente innocente e fragile gli si riaccese nel cuore, gli occhi gli si illuminarono, si avvicinò, cinse la sua vita con le mani e gli diede un bacio.

Albedo non poté che accettarlo dolcemente. Prima era un po' riluttante, a causa di ciò che era appena successo, ma si lasciò sedurre dai morbidi tocchi delle mani dell'uomo, e si dimenticò di tutto il resto. 

Kaeya si stava sbottonando ad occhi chiusi la camicia, ancora unito ad Albedo, quando il telefono fisso dell'atelier suonò; "Non andare, amore...", sussurrò Kaeya nel breve momento in cui poté respirare, prima di ricongiungere le sue labbra a quelle del ragazzo, ma Albedo gli rispose che non poteva ignorarlo. 

"Eula sta chiamando molto, in questi giorni – pausa, nella quale l'uomo posò un bacio veloce ma desideroso sul labbro inferiore di Albedo – potrebbe trattarsi di lavoro, è importante..." 

Kaeya si lamentò con una frase non particolarmente articolata, che Albedo non capì, ma poi lo lasciò andare, e Albedo si avviò velocemente verso il telefono, con la camicia mezza aperta.

"Sì, pronto?" 

Albedo assunse un'espressione tra il preoccupato e il sorpreso.

"Sì, è qui... cosa succede?" 

Il ragazzo lanciò un'occhiata inquieta a Kaeya, la cui aria sognante e innamorata fu rimpiazzata da un aspetto allarmato. Non sapeva chi c'era dall'altro capo del telefono; ma sapeva che era per lui. Una serie di possibilità – una più catastrofica dell'altra – gli sfrecciarono davanti agli occhi. 

"Okay... te lo... te lo passo" 

Albedo si appoggiò la cornetta sulla spalla, per non far sentire le sue parole, e si voltò verso Kaeya. 

"È Rosaria"

Kaeya sussultò.

"Vuole parlarti. Sembra molto scossa." 

Gli porse la cornetta.

"Ross? Ci sei? Sono io" 

Il suo tono di voce era tesissimo. Si vedeva lontano un miglio che era preoccupato. Doveva sicuramente aver immaginato cosa poteva esserle successo. 

I rumori fruscianti che provenivano dalla cornetta portavano con loro una voce stanca e desolata. Gli disse che voleva che venisse a casa sua. La casa che aveva preso in affitto, però; non quella dei suoi genitori. 
Rosaria aveva un piccolissimo appartamento in affitto, dove si rifugiava quando non sopportava più le ampie stanze opprimenti della sua ricca casa in centro città. 

"Da quanto tempo è che sei lì? E – la sua voce era spezzata dall'ansia – e devo venire subito?"

Sì, doveva venire subito. Rosaria gli disse che dormiva nell'appartamento da qualche giorno. Non l'aveva mai lasciato. Si doveva sicuramente trattare di qualcosa di grave.

𝐑𝐄𝐐𝐔𝐈𝐄𝐌 ➣ 𝗴𝗲𝗻𝘀𝗵𝗶𝗻 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗰𝘁Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora