⩩ 𝟬𝟭. 𝗶𝗻𝘁𝗿𝗼𝗶𝘁𝘂𝘀.

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La luce soffusa delle ultime ore del pomeriggio entrava nella stanza, quasi come unica fonte di illuminazione. Quello era un luogo accogliente, un po' disordinato, anzi, molto, ma le facce conosciute e concentrate che lo popolavano lo facevano apparire a lui quasi come una casa.

Quella piccola stanzetta era uno dei posti più calmi in cui fosse mai capitato. Si trovava al terzo piano di un vecchio edificio polveroso, che aveva la fortuna di avere una finestra che guardava esattamente ad occidente. Facevano un effetto bellissimo, a quelle ore del giorno, i raggi arancioni del Sole, che in quel momento accarezzavano con dolcezza la pelle nuda della modella.

Sparpagliati trai cavalletti e gli sgabelli dei cinque presenti c'erano una marea di fogli, molti dei quali erano pieni zeppi di schizzi preparatori e Dio solo sa cos'altro; insieme ad essi, tubetti finiti a metà di pittura ad olio, qualche pennello rovinato, due paia di scarpe, uno da ginnastica e uno col tacco, e una quella che sembrava una pelliccia, lasciata a terra con una noncuranza lasciava trasparire un non so che di insofferente verso quell'oggetto.

La modella era seduta sulla sua gamba sinistra, piegata a terra, mentre il piede destro poggiava sul pavimento e la gamba era raccolta verso il petto. La sua mano destra poggiava con disinvolura sul ginocchio che aveva alzato, e la schiena era leggermente incurvata. Guardava alla sua sinistra con due occhi verdi, quasi gialli tanto erano chiari.

Era completamente nuda, ma non c'era nulla di indecente nelle sue figure o nel suo corpo; aveva i seni di una ragazzina e la pelle liscia e chiara: avrebbe potuto essere una delle vergini seguaci di Artemide, se l'avessero voluto i cinque pittori che la stavano ritraendo in quel momento.

Ognugno dava la sua personale interpretazione di quella fanciulla bionda. Per uno era semplicemente una modella in una stanza polverosa al terzo piano di un edificio poco fuori dal centro città; per un altro una giovane ninfa che si specchiava nelle acque di un lago - che, per forza di cose, sarebbe stato dipinto in un secondo momento; e ancora, una donna dalle forme idealizzate sospesa in uno sfondo irrilevante e nebuloso, oppure, al contrario, una ragazza con il volto duro, sofferto, umano, il corpo tozzo e i seni tondi e piccoli. O ancora una donna, forse una prostituta, vista di schiena, con lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso tra l'amaro ed il sereno che faceva capolineo sul volto roseo.

Altrettanto diversi erano i cinque artisti che sedevano di fronte alle tele quasi finite. La donna che stava dipingendo la modella come una ragazza tozza era bionda e alta. Teneva una gamba rannicchiata, su cui era posato il mento, sullo sgabello, e l'altra penzolante; i capelli biondi erano slegati, le ricadevano poco sotto le spalle. Si vedeva, però, che di solito erano legati in una coda alta e piuttosto stretta, data la piega poco naturale che avevano. I suoi occhi erano blu, e indossava una camicia sbottonata, una giacca che sembrava piuttosto stretta, blu, e un paio di jeans bianchi e attillati. Insofferente, anche se aveva cercato in tutti i modi di non strapparsela di dosso e buttarla a terra, finalmente si sfilò la giacca di dosso, e poi riprese a dipingere.

Di fianco a lei, un ragazzino piccolo e mingherlino stava finendo con il suo gessetto gli ultimi tocchi di colore sulla schiena della modella. Aveva, stretto tra le labbra, un mozzicone, spento ormai da qualche ora, di sigaretta, e le unghie dipinte di un blu quasi nero. Strizzava in continuazione i suoi grandi occhi scuri, probabilmente perché aveva bisogno di un paio di occhiali che si ostinava a non mettere, e cercava di visualizzare ogni singolo tratto che disegnava con il suo gessetto. Era seduto a gambe incrociate, sbilanciato fin troppo verso la tela, un po' troppo curvo. Ma tanto era solito dire, quando i suoi compagni glielo facevano notare, "tanto ho la scoliosi comunque, almeno così riesco a disegnare bene"

Dal lato opposto della stanza c'era una ragazza mora: i suoi capelli erano davvero lunghi, legati in una coda bassa, e le ciocche che le sarebbero ricadute sugli occhi e le avrebbero altrimenti incorniciato il volto bianco erano tirate indietro con mollette di diversi colori, fastidiose come poche altre cose per l'artista. A differenza degli altri, lei era in piedi, e gironzolava nervosamente di continuo nel suo piccolo spazio, come se stesse cercando di non farsi sfuggire l'ispirazione. C'erano momenti in cui fissava la sua opera, anche per minuti interi, una volta mordicchiandosi le unghie e un'altra attorcigliandosi le ciocche intorno alle dita, e altri in cui dipingeva freneticamente, cercando di riversare tutte le idee che aveva accumulato nei suoi periodi di riflessione sulla tela; era lei che aveva visto la modella come una ninfa che si specchiava in un lago, e, dopo un lungo ed elaborato schizzo preparatorio, aveva finalmente incominciato a colorarla, e aveva quasi finito. Purtroppo avrebbe dovuto completare il suo dipinto in un secondo momento, perché la combriccola di artisti non aveva deciso di lavorare en plein air come aveva proposto lei.

𝐑𝐄𝐐𝐔𝐈𝐄𝐌 ➣ 𝗴𝗲𝗻𝘀𝗵𝗶𝗻 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗰𝘁Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora