⩩ 𝟬𝟴. 𝗰𝗼𝗻𝗳𝘂𝘁𝗮𝘁𝗶𝘀.

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"Ti tratta bene?", gli aveva chiesto. Lui aveva sorriso tra sé e sé. "Certo", aveva risposto, "alla sua maniera. E a me piace così." Mi piace da morire, aveva pensato poi.
Lei aveva tenuto il suo sguardo fisso negli occhi del suo interlocutore, che, un po' imbarazzato, aveva cercato di evitare quelle iridi di un azzurro chiarissimo. Gli stavano chiedendo: "Davvero? Davvero va tutto bene? Lo conosco, è capace di mandare a fanculo qualsiasi cosa. Compresa la vostra relazione."
Ma il ragazzo aveva preferito non cogliere quelle domande, poste silenziosamente con una premura e una preoccupazione di cui lei si vergognava troppo, per poter pronunciarle ad alta voce.
"Mi tratta bene. Mi ama. E lo amo anche io."
Lei gli aveva finalmente dato una tregua, abbassando lo sguardo e annuendo. Pareva rassegnata. C'era sicuramente altro, oltre all'apprensione, che provava per il ragazzo. O forse no. Difficile dirlo con certezza.
Lui, in ogni caso, preferiva ignorarla, qualsiasi cosa fosse.


"Kaeya, sei pronto? Usciamo tra due minuti! Un quarto d'ora e inizia!"
Albedo percorse a grandi falcate la diagonale del magazzino, per poi aprire di fretta la porta che dava sui bagni.

"Forza, ci sei?"

"Ci sono, ci sono... com'è? Va bene la cravatta?"
Kaeya pareva esausto, nonostante avesse dormito otto ore, quella notte. Albedo gli aveva intimato di dormire a casa propria, perché voleva essere ben riposato per quel grande giorno. In cambio, gli aveva promesso che sarebbe stato con lui tutta la notte successiva. E magari anche quella dopo ancora. Kaeya aveva accettato a malavoglia, e si era recato da lui per prepararsi quella mattina.

La cravatta non era un granché. Troppo larga, il nodo fatto di fretta e pure male. Albedo, che si sentiva come se avesse avuto a che fare con un bambino piccolo, sbuffò e gliela tolse.

"Porca puttana, sei un incapace."
Sorrisero entrambi, anche se Albedo tentava di rimanere serio e arrabbiato.

Cinque minuti dopo erano in bus, seduti l'uno di fianco all'altro.

"Esporranno tutta la collezione di Eula Lawrence alla biennale, compresi i quadri che le ho mostrato il mese scorso"

"Il giorno in cui ci siamo fidanzati?"

"No, quello è stato due sere dopo. Quello era giorno in cui ci siamo baciati."

"Giusto, quello."
Kaeya fece una pausa, poi riprese a parlare.

"Quindi la gente mi vedrà alla mostra e crederà che mi chiamo Anthony?"

"Ti conosceranno come Anthony, ma questo non vuol dire che ti chiami effettivamente così. Ho deciso di non usare il tuo vero nome per privacy e..."

"E?"

"È romantico. E poetico. È bellissimo e basta, okay?"

Kaeya sorrise, intenerito. Albedo spesso gli pareva un bambino, e si chiedeva come potesse un ragazzino così puerile e dall'aspetto così immaturo essere com'era Albedo: geniale, profondo, e soprattutto... intenso.

"Sai se gli altri esporranno qualcosa?"

"Sicuramente non ci sarà nulla di mio o di Jean, per il resto..."

"Dovresti provarci, a vendere le tue opere. Sono belle."

"Lo dici solo perché vuoi vedermi fallire miseramente, non è vero?"

Albedo lo guardò imbronciato, dicendo qualcosa tipo "come osi dubitare così di me?", poi si chinò un poco su di lui e lo abbracciò, mormorando: "Credo davvero che i tuoi quadri siano degni di attenzione"

Kaeya si limitò a sorridere, accarezzandogli il capo, senza però ricambiare l'abbraccio.

"Oh, è arrivata la nostra fermata", disse poi l'uomo, liberandosi dolcemente dalla stretta di Albedo e dirigendosi verso l'uscita, mentre il fidanzato gli trotterellava alle spalle, un po' indietro.

𝐑𝐄𝐐𝐔𝐈𝐄𝐌 ➣ 𝗴𝗲𝗻𝘀𝗵𝗶𝗻 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗰𝘁Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora