⩩ 𝟬𝟳. 𝗿𝗲𝗰𝗼𝗿𝗱𝗮𝗲.

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 "Come ti vuoi chiamare?" 

La voce di Albedo suonò alle orecchie di Kaeya come il cinguettio degli uccellini che cantano la mattina; anzi, che stavano cantando quella mattina, i loro pigolii insistenti mischiati alle parole di Albedo, che confusero il suo cervello ancora mezzo addormentato.

"Un nome semplice, il primo che ti viene in mente"

 Kaeya biascicò qualcosa e aprì gli occhi lentamente, con fatica, per poi mettersi seduto sul letto. Si guardò intorno, ricostruendo nella sua mente ciò che lo circondava e tentando di capire perché era lì, che ore fossero, com'era vestito in quel momento.

"Ci metti sempre così tanto a rispondere? Mi dispiace per tua madre, cazzo, le avrai fatto passare un inferno" 

Non era in camera sua, questo era certo; si trovava in un monolocale decisamente troppo poco spazioso e con i muri rovinati. C'erano un cuscino e una coperta per terra, circondati da ogni parte da pennelli, tempere e una marea di altri oggetti sparsi sul pavimento e sui piccoli ripiani che ornavano le pareti spoglie del monolocale; nel centro della sala, Albedo era seduto di fronte ad una tela, che Kaeya riconobbe come il ritratto allo specchio. 

"Quindi? Un nome?" 

Doveva essersi addormentato lì la sera prima. Aveva posato un'oretta per Albedo, e poi probabilmente era crollato per la stanchezza. Si erano fatte le ore piccole. Per fortuna non lavorava la mattina, di sabato. 

"Porca puttana, Kaeya, rispondimi!" 
Il volto di Albedo era indispettito e divertito allo stesso tempo: quei velati insulti non avevano nulla di cattivo o realmente arrabbiato in loro, e pronunciandoli Albedo si compiaceva di quanto si erano avvicinati lui e Kaeya – abbastanza da sentirsi a proprio agio parlando nella maniera meno formale che ci fosse. 

"Che palle... Anthony. Va bene? Mi chiamo Anthony. Ma che ti serve, poi?" 

Kaeya si stropicciò gli occhi e, con fatica, si alzò dal letto e si avvicinò ad Albedo, che stava scrivendo qualcosa sul retro della tela.

"Autoritratto... allo specchio... con... Anthony", lesse.

"C'era davvero bisogno di un nome in codice?" 

"Sì. Mi sorprende che tu non lo sappia, grande artista. Lo fanno tutti, non si mettono i nomi veri nei titoli"

Albedo lo schernì amichevolmente, voltandosi verso di lui. 

"Vaffanculo" Kaeya scompigliò energicamente i capelli biondi di Albedo, che erano comunque già arruffati; non se li era ancora legati, e gli ricadevano sulle spalle fin troppo disordinati per il suo solito.

"Che ore sono?" Chiese Kaeya guardandosi in giro, in cerca di un orologio da muro che non riuscì a trovare.

"Le nove. Hai da fare stamattina?"

"Che c'è, mi vuoi ritrarre di nuovo?" 

Albedo non rispose subito a quella domanda; Kaeya si immaginò, mentre guardava il profilo morbido e i tratti dolci del ragazzo, che la risposta fosse sì, ma che Albedo non volesse dirglielo in quel modo. Non era uno stupido, aveva capito che dietro ai ritratti e alle ore passate insieme non c'era solo una profonda amicizia; Albedo provava sicuramente qualcosa per lui, e Kaeya aveva imparato ad amarlo al meglio delle sue possibilità, benché i suoi sentimenti per lui fossero allo stesso tempo fortissimi e confusi. Si sentiva attratto, senza ombra di dubbio, spinto con vigore verso quel gracile ragazzino dalle braccia sottili – o forse era spinto verso la sua arte, verso quello che creava? Probabilmente tutte e due. Sperava solo che la sua indecisione non presentasse un problema.

𝐑𝐄𝐐𝐔𝐈𝐄𝐌 ➣ 𝗴𝗲𝗻𝘀𝗵𝗶𝗻 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗰𝘁Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora