16. Sarah

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Sarah

Sei anni prima

La voce femminile e vagamente robotica dell'autoparlante lo aveva appena annunciato: il volo diretto in Malawi avrebbe iniziato la procedura di imbarco a breve, al gate numero 32.

Ero pronta. La valigia era stata imbarcata.

Avevo salutato una versione della mamma tutta lacrimoni e sorrisi incoraggianti prima di varcare i controlli, nell'atrio gigantesco del terminal. Avevo abbracciato una versione stranissima, guardinga e diffidente di mio fratello Josh e adesso l'unica cosa che mi aspettava era la mia estate di volontariato in un continente molto lontano da Seattle. Se solo, quello che mi stavo lasciando alle spalle, non fosse stata una questione aperta con Alexander Donovan, l'amore di tutta la mia adolescenza, che no, non aveva esaudito la mia richiesta e non era venuto a salutarmi.

Mi rigirai tra le mani il biglietto aereo.

Mel, la mia referente del progetto, mi dette un colpetto spalla contro spalla.

«Su, non fare quella faccia, dolcezza. Vedrai che sarà un'esperienza meravigliosa.»

«Lo so» annuii come un automa.

Perché continuavano a dire che sarebbe stato tutto meraviglioso, quando io dentro avevo solo una ferita che continuava a sanguinare, lasciando uscire rimpianti, sensi di colpa, e tristezza?

Le hostess indirizzarono la folla in attesa in due file ordiate: imbarco prioritario e imbarco senza priorità. Mel aveva preferito pagare per saltare la fila, quindi mi disse: «ci vediamo sull'aereo» e si avviò, lasciandomi sola. Avremmo raggiunto il resto del gruppo di volontari già di stanza a Lilongwe, per poi addentrarci nell'interno più povero e bisognoso del Paese, con lo scopo di portare assistenza, libri, acqua e cibo.

Guardai la fila chilometrica che mi si parava davanti e sospirai. Avevo preferito far risparmiare mia madre e prendere un biglietto in economy, senza nessuna agevolazione, quindi mi armai di pazienza e per la cinquecentesima volta da quando avevo oltrepassato i controlli di sicurezza sbloccai lo schermo del mio cellulare in cerca di notifiche. Niente. Neanche un misero in bocca al lupo, mi mancherai. Il vuoto cosmico.

Evidentemente avevo sempre avuto ragione: per Alexander io non contavo nulla, altrimenti si sarebbe degnato di venire. Se non a gridarmi il suo amore, quantomeno a salutarmi come quella sorellina minore che tutti mi ripetevano di essere per lui.

Avanzammo lentamente, man mano che i passeggeri venivano imbarcati, e mentre stavo lì a rigirarmi tra le mani il biglietto sgualcito dal sudore dei miei polpastrelli, mi sentii chiamare per nome. Ma non Sarah.

Sentii quel nome. Quello che solo lui aveva sempre utilizzato con me.

«Baby Sheridan, aspetta!»

WILD HEARTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora