11. I worry about you the whole night

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DIANA

È lunedì.

Mi alzo e in cucina trovo una sorpresa sul tavolo.

Un sacchetto di Celine, abbastanza grande, con accanto una brioche alla crema e del tè caldo nella mia tazza preferita.

È tornato mio padre.

C'è un bigliettino: "Buongiorno Diana, so quanto questo giorno sia difficile per te, ma ti ho portato un regalo dal mio viaggio di lavoro a Parigi.
Con affetto.
Il tuo papà"

Sento la porta sbattere dietro di me.

<<Buongiorno Diana>> mi dice mio padre, già vestito alla perfezione.

È tornato ieri sera tardi e oggi va già a lavorare.

Essere uno tra i direttori di un'azienda multimilionaria non è un lavoro semplice, ma mio padre non si concede nemmeno un minuto di riposo.

Non mi manca nulla oggettivamente parlando; bei vestiti, gioielli, trucchi, una casa enorme e tanto altro a livello materiale.

Ma un po' di affetto non guasterebbe, quantomeno ogni tanto.

<<Buongiorno>> rispondo a mia volta.

Oggi è un giorno così pesante; sono otto anni che Miriam non c'è più.

<< Questo pomeriggio vado al cimitero>> dico convinta.

<< Tesoro, dovresti lasciarti questa storia alle spalle>> il suo tono duro suona come un rimprovero.

<< E quindi non posso nemmeno andare a salutare Miriam?>> domando infastidita.

<< Quello che sto cercando di dirti è che per il tuo bene dovresti dimenticarti di questa storia>> siamo alle solite.

<< Mia sorella è morta, non posso dimenticare questa cosa>> insisto.

<< Tu, Diana, eri troppo piccola e non puoi ricordarti come sono andate le cose veramente. Non ti ricordi dei casini che ci ha fatto passare tua sorella>> continua con tono aspro.

<< Ah, beh certo, qui la persona che non può ricordarsi come sono andate le cose è la stessa che ha visto sua sorella morire davanti ai suoi occhi>> affermo, ridendo nervosamente.

<< Diana, Miriam è morta perché la droga le ha dato alla testa>> non posso crederci che dica questo.

<< No, papà, mia sorella non è morta, lei si è suicidata e sono cose ben diverse, e lo ha fatto perché tu e la mamma non vi siete mai accorti della sua sofferenza, della sua depressione e ha iniziato a drogarsi perché era l'unica via di fuga che aveva, ma l'unica cosa che avete fatto è stata addossare la colpa a una diciassettenne>> sputo acidamente.

Me ne torno in camera da letto e sento la porta di casa chiudersi, segno che mio padre è uscito.

Non posso crederci; ogni anno la stessa storia, ma sta volta è diverso.

Il fatto che dopo così tanto tempo lui non si renda conto è inconcepibile.

Perché continuare e negare come sono andate le cose?

Perché continuare a incolpare una ragazza che ormai non c'è più e che soffriva più di chiunque altro?

Perché non riesce ad accettare che lei si sia suicidata?

Non dico che dovrebbe comprendere perché lo ha fatto, nemmeno io lo comprendo, ma quanto meno accettarlo.

Mi inizio e vestire con dei jeans e un maglione bianco.

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