Capitolo 2

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Delia

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Delia

Mi tremano le mani, incontrollabili, come se non fossero più mie. Ogni tentativo di fermarle sembra solo peggiorare la situazione. Sento un sottile strato di sudore appiccicarsi alla mia pelle, come una seconda, sgradevole copertura. Il sudore mi bagna la schiena, corre lungo la spina dorsale, e la sensazione di umido mi fa rabbrividire. La gola si stringe, soffocante, come se una mano invisibile mi stesse strangolando lentamente, privandomi dell'aria. Il respiro si fa corto, spezzato, ed è sempre più difficile trovare una boccata d'ossigeno che mi dia sollievo.

Mi appoggio con forza al lavandino. L'acciaio freddo sotto le mie mani è l'unica cosa concreta che riesco a percepire in questo vortice di terrore. La mia riflessione nello specchio è distorta, gli occhi spalancati, pieni di paura. Mi guardo con disperazione, cercando in quella figura spaventata una qualche traccia di autocontrollo. Devo trovare la calma. Devo riprendere il controllo, ma ogni fibra del mio corpo sembra cedere sotto il peso di un panico crescente.

Quattrocento venti secondi. Li conto mentalmente. Questo è il tempo massimo in cui di solito riesco a resistere prima che l'attacco passi. Lo so, l'ho calcolato tante volte, in precedenza, in tutti questi anni. Cerco di aggrapparmi a questo pensiero, come se fosse l'unico filo che mi separa dal crollo totale.

Le gambe mi cedono e scivolo lentamente verso il pavimento, appoggiando la schiena contro il muro. Il cuore batte impazzito, le orecchie ronzano, il mondo intorno a me perde consistenza, diventa lontano, ovattato.

Quattrocento.

Il battito si fa più forte, come se stesse per scoppiare nel petto. Ogni secondo sembra durare un'eternità. Stringo i pugni, cercando di ancorarmi a qualcosa, qualunque cosa, che mi riporti indietro.

Trecento.

Il tempo si dilata. So che ogni attacco di panico ha una fine, ma in questo momento mi sembra impossibile che possa esistere un mondo oltre questa sofferenza.

Duecento.

Respiro, un respiro corto e affannoso, ma lo forzo. Un piccolo segno che forse, da qualche parte, posso ancora controllare qualcosa.

Cento.

Il corpo inizia a rilassarsi leggermente, come una molla che si distende, ma la paura non è del tutto svanita. Mi sento svuotata, fragile, so che basterebbe un soffio per frantumarmi di nuovo.

Finalmente, lentamente, la morsa intorno alla gola si allenta, il battito cardiaco comincia a rallentare e il respiro torna a fluire, anche se ancora irregolare.

Quattrocento venti secondi. Forse ne sono passati di meno, o forse molti di più. Non lo so con esattezza.

«Delia!»

La sua voce mi trafigge, riportandomi bruscamente alla realtà. Mi sollevo di scatto, quasi barcollando. Le mani tremano ancora mentre strisciano sul camice, nel tentativo di restituire una parvenza di ordine al mio aspetto.

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