Capitolo 11

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Delia

La penna picchietta incessante contro la cartella di plastica, il suono monotono scandisce il tempo in modo quasi ipnotico. I miei occhi, però, restano fissi nel vuoto, un vuoto che mi ha inghiottito completamente. Quel vuoto l'ho visto riflesso nei suoi occhi quando l'ho guardato dritto nelle iridi, e lì, ho trovato un tormento così profondo da risucchiarmi con lui. Non servivano parole. Era come guardare in uno specchio incrinato, uno specchio che riflette qualcosa di irreparabile.

La paura di perdermi in lui è stata così profonda che ho fatto l'unica cosa che sapevo fare: sono scappata. Ma cosa diavolo mi è venuto in mente quando ho deciso di aspettarlo sotto casa sua, come se fosse una buona idea? Mi aveva detto chiaramente che non avremmo dovuto più vederci. Ed è quello che voglio, o almeno... era quello che volevo.

Respiro in modo irregolare quando tutto d'un tratto, come un fulmine a ciel sereno, realizzo che non è più così. Non è più solo una questione di scelta o razionalità. Questo groviglio di emozioni che sento dentro di me mi ha legato a lui, più di quanto avrei mai voluto.

Mi mordo con forza l'interno della guancia, fino a sentire il sapore del sangue. Riesco appena a voltare la testa verso la vetrata. Fuori piove, e il tempo è orribile da giorni. In qualche modo, questo mi dà una strana sensazione di pace.

Finalmente mi sollevo in piedi, sento il torpore che lentamente mi abbandona. Lascio cadere la penna e mi avvio verso la porta. È una giornata tranquilla, di quelle in cui i corridoi dell'ospedale sembrano quasi deserti. I fine settimana sono sempre meno caotici: niente visite programmate, niente operazioni, a meno che non ci siano emergenze.

Imbocco il corridoio e premo il pulsante dell'ascensore. Il viaggio è breve, mi porta direttamente al reparto psichiatria. Mi dirigo verso l'ufficio di Paisley. Busso e, senza aspettare una risposta, apro la porta.

Mi fermo, sorpresa, quando vedo la figura di mio padre seduto di fronte a lei.

«Papà?» La mia fronte si aggrotta, entro completamente e chiudo la porta dietro di me.

Lo sguardo di Paisley è già su di me, un misto di disappunto e preoccupazione. Non tanto per la mia entrata improvvisa, quanto per le innumerevoli chiamate senza risposta che so dovrò spiegare prima o poi.

Mio padre si alza lentamente, il corpo curvato da una stanchezza che non avevo mai visto prima. «Ciao, tesoro.» La sua voce è un soffio spezzato, e gli occhi... quegli occhi, pieni di disperazione, mi fanno rabbrividire.

«Che succede?» La mia voce è tesa, mentre mi avvicino, infilando nervosamente le mani nelle tasche del camice. «Cristina sta bene?»

Paisley sospira, appoggiando la schiena alla sedia con un'espressione rassegnata. Mio padre scuote lentamente il capo, gli occhi che si riempiono di lacrime.

«Non so più cosa fare.» La sua voce trema, spezzata dal dolore. «Le cure non sembrano avere effetto. Non riesco più nemmeno a farla alzare dal letto. Devo costringerla persino a bere dell'acqua. Nelle ultime settimane... è peggiorata.»

Mi fermo, le sue parole rimbombano nella mia mente. I miei occhi si dilatano appena guardando Paisley.

«L'unica opzione è ricoverarla.» La voce di Paisley è ferma, ma il peso di quelle parole mi si blocca in gola, facendo salire un nodo insopportabile.

La depressione di Cristina era iniziata in modo subdolo, lentamente, dopo aver saputo della malattia di Evie, tutto è precipitato. Cristina aveva provato, in tutti i modi, a riparare agli errori del passato, a rimettere insieme i pezzi del loro rapporto. Ma Evie, testarda fino alla fine, l'aveva tagliata fuori dalla sua vita, rifiutando ogni tentativo di riconciliazione. E adesso, i sensi di colpa la stavano distruggendo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 20 ⏰

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