Capitolo 10

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Ethan

Il bar è una tana scura dove il tempo sembra sciogliersi come il ghiaccio nei bicchieri. Me ne sto seduto in un angolo, con lo sguardo perso tra i riflessi delle bottiglie allineate dietro il bancone. Il bicchiere mi scivola tra le dita, l'alcol scende lento e pesante, ma non basta mai. Mi serve di più, sempre di più, per soffocare quel nodo che mi stringe lo stomaco e azzittire il ronzio nella testa.

Un attimo prima ho ancora i pensieri lucidi, un attimo dopo la polvere bianca che continuo sniffare scivola nelle vene e mi spegne tutto, come un velo. Mi sento quasi... libero. Ma è un'illusione. Il fumo della sigaretta danza nell'aria, il mondo intorno a me si fa ovattato, lontano. Bevo ancora, perché so che è l'unica cosa che riesco a controllare, l'unica che posso decidere di buttare giù fino a non sentire più niente.

Mi lascio andare sullo schienale della sedia, osservando le luci soffuse e i volti che si confondono tra risate e silenzi. Tutto mi sembra ovvio e inutile. La vita là fuori è solo un eco che non voglio ascoltare. E io? Io sono qui, perso tra un sorso e l'altro, a cercare di dimenticare chi sono, o forse a ricordare perché sono diventato così.

Sento due mani scivolarmi sulle spalle e poi giù fino al petto. I muscoli si tendono, reagendo al contatto.

«Sono due sere che vieni qui e ti riduci a uno straccio, Ethan.» La voce di Elysia è un sussurro contro il mio orecchio, carico di una preoccupazione che suona quasi sincera. «Che diavolo ti passa per la testa?»

«Niente che ti riguardi.» Soffio una lunga boccata di fumo, lasciando che l'odore acre della sigaretta riempia lo spazio tra noi. Spengo il mozzicone con un gesto brusco nel portacenere, poi sollevo lo sguardo su di lei. «Ma se ti interessa...» Accenno un sorriso. «Stasera potrei scoparti per bene.»

Elysia inclina il capo e sorride, un'espressione soddisfatta che mi fa venire voglia di mandarla al diavolo. Pensa di poter giocare con me, di avere un qualche potere su quello che resta di me, ma non sa niente. È solo un altro corpo per distrarmi, per strapparmi via dalla testa l'unico nome che mi rimbomba dentro: Delia.

Inclino la schiena sulla sedia e lei si avvicina, accavallandosi su di me con un movimento fluido. Le mie mani si stringono sui suoi fianchi, mentre la bocca si posa tra i suoi seni sodi, il profumo dolciastro del suo profumo che mi satura i sensi. Voglio solo sentire qualcosa, qualsiasi cosa, che mi faccia dimenticare i suoi occhi.

Ma passa un istante, forse due, e il suo corpo si irrigidisce all'improvviso. «Delia?» Sussurra con un filo di voce.

Sbatto le palpebre più volte e mi rendo conto di cosa ha appena detto. Mi irrigidisco. Elysia si scosta di scatto, sgranando gli occhi, mentre io mi volto e mi ritrovo a fissarla come se fosse un'allucinazione: i suoi capelli scuri, quegli occhi azzurri intensi... Delia è lì, davanti a me, e mi guarda come se fossi un fantasma.

«Che c'è?» Ringhio, serrando i pugni. «Ti sei persa?»

Resta immobile, senza dire niente, il respiro spezzato. Nei suoi occhi c'è qualcosa di oscuro e doloroso, qualcosa che non voglio decifrare. Ma più la guardo, più sento il vuoto dentro di me allargarsi.

Mi alzo in piedi di scatto, le gambe che cedono per un attimo prima che riesca a stabilizzarmi, barcollando verso il bancone. Le do le spalle, cercando di allontanare il suo sguardo da me, e afferro il bicchiere con l'ultimo residuo di alcol rimasto. Lo mando giù d'un fiato, sentendo il bruciore familiare scivolare giù in gola.

«Non ho intenzione di salvare il tuo culo da principessa, stavolta.» Lo dico con un tono freddo, lasciando cadere il bicchiere con un tonfo secco. Se è qui per affogare la sua miserabile tristezza nell'alcol, che lo faccia pure. Non è affar mio.

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