Prologo

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Il deserto a ovest delle terre dell'Impero di Titanus si presentava come un paesaggio aspro e spietato, una distesa infinita che alternava dune di sabbia dorata a vaste distese di terra rocciosa e arida. Il vento soffiava costantemente, sollevando nubi di polvere e sabbia che rendevano l'aria opprimente, mentre il sole battente sembrava implacabile, bruciando tutto ciò che toccava. Le notti, invece, si facevano gelide, con temperature che scendevano drasticamente, creando un contrasto spietato con il caldo torrido del giorno.

Qua e là affioravano colline di roccia scura e frastagliata, testimoni di antiche eruzioni vulcaniche che avevano scolpito quel paesaggio inospitale. I pochi avamposti dell'Impero si trovavano in punti strategici, fortificati e circondati da alti muri per proteggersi dalle tempeste di sabbia. Erano presidiati da guardie e abitati principalmente da prigionieri, costretti a vivere in condizioni estreme. Quegli avamposti fungevano sia da prigioni che da centri di estrazione mineraria, poiché nel sottosuolo del deserto si trovavano ricche vene di minerali preziosi.

Gli schiavi e i prigionieri, esiliati dal cuore dell'Impero, scavavano incessantemente in miniere profonde, alla ricerca di metalli e risorse indispensabili per le macchine da guerra di Titanus. Le miniere erano pericolose e instabili, e gli incidenti risultavano frequenti. Chi veniva mandato lì raramente faceva ritorno, e il deserto era visto come una condanna certa, una punizione senza scampo.

Nonostante la sua apparente desolazione, il deserto ospitava anche forme di vita resistenti: cactus spinosi, arbusti secchi e alcuni rettili che si nascondevano nelle ombre delle rocce per sfuggire alla calura.

I viaggiatori che si avventuravano in quelle terre dovevano essere esperti e ben preparati, perché le risorse erano scarse e ogni errore poteva costare la vita, il deserto era temuto e rispettato, un simbolo della durezza del dominio di Titanus, dove solo i più forti e i più disperati sopravvivevano.

La notte calava lentamente sul deserto, e l'aria si faceva fresca dopo il calore implacabile del giorno.

Un soldato di guardia all'avamposto minerario di Lexar stava sorvegliando il cancello da una garitta armato di una balestra a ripetizione, udì chiaramente il suono della campana che annunciava la cena e la fine dei lavori.

Volse lo sguardo sull'accampamento, formato da una decina di case che sorgevano attorno alla caserma, circondato da una staccionata di legno alta tre metri ormai consumata dal vento e dalla sabbia.

Non si aspettava nulla di insolito; quella parte del deserto sembrava quieta da settimane.

Sistemò meglio la sua posizione controllando il suo equipaggiamento mentre i suoi occhi si perdevano all'orizzonte.

Un grido gli fece alzare gli occhi al cielo e vide un falco volteggiare nel cielo, le sue ali si muovevano con eleganza sopra le dune dorate. Si distrasse per un momento, affascinato dal volo dell'uccello.

E fu solo quando il falco volò via, all'improvviso, che il soldato notò un movimento sospetto tra le dune. Strinse gli occhi per vedere meglio, e si rese conto che si trattava di una nube di sabbia, sorrise sorpreso:

"La diligenza con la posta e nuovi rifornimenti sta arrivando in anticipo?"

Esclamò sorpreso, poi però aguzzò meglio la vista e ciò che vide gli fece gelare il sangue. Non era una diligenza quella che stava arrivando, bensì un'orda di figure avanzava rapidamente verso l'avamposto, vestiti di mantelli color sabbia e brandendo bandiere verdi con una luna calante e sette stelle.

Il soldato si volse e battè la campana posta sulla garitta poi armò la balestra a ripetizione e iniziò a scagliare dardi mentre l'avvertimento echeggiò per tutto l'avamposto, richiamando soldati e minatori presenti che accorsero, affrettandosi a prendere le armi mentre le donne e i bambini corsero a nascondersi nei magazzini.

Il soldato si fece forza ricordandosi ciò che il capitano gli aveva detto tre settimane prima, quei predoni erano uomini del venerabile Profeta Artakhšassa, noto come "Voce delle Sabbie", "Primo dei Primi", e "Vento delle Dune" che si era proclamato liberatore di quelle terre per chiamata divina, aveva iniziato a chiamare alle armi predoni, sbandati e tutti coloro che volevano servire una causa, avevano iniziato con attacchi a diligenze e convogli impadronendosi di armi, ed erano inattaccabili a causa della vastità del deserto, colpivano e sparivano tra le dune.

Tuttavia continuò a scagliare dardi contro l'orda nemica osservando anche dei predoni cadere uccisi, poi però risuonò una fucilata e tutto divenne buio.

Una volta eliminata la minaccia della balestra a ripetizione i predoni si avventarono sull'avamposto con ferocia. Le loro bandiere sventolavano nel vento mentre i loro guerrieri si muovevano con destrezza tra le dune, armati sia di armi imperiali sottratte in precedenti incursioni, sia di spade affilate, corti pugnali e archi. Gridavano in nome del loro profeta, promettendo la liberazione del deserto dalle forze dell'Impero di Titanus.

I soldati imperiali, pur in numero esiguo, tentarono una disperata resistenza. Spararono colpi dalle loro vecchie torrette, cercando di respingere l'attacco, ma gli uomini del Profeta si muovevano con agilità, scivolando tra le dune, scalando la staccionata come ombre, colpendo con letale precisione. Le case furono presto avvolte dalle fiamme, i soldati di Titanus combattevano con ardore, ma poterono che fare ben poco contro l'assalto implacabile.

Nel mezzo della battaglia, una figura avvolta da lunghi abiti scuri avanzava con calma.

Il volto del Profeta Artakhšassa era nascosto da veli che lo proteggevano dal vento del deserto, e solo i suoi occhi spietati brillavano nel crepuscolo. I suoi seguaci si aprivano per lasciarlo passare, venerandolo come un messia del deserto. Quando giunse davanti all'ufficiale in comando dei soldati imperiali, questi, già inginocchiato e sconfitto, implorò pietà e di risparmiare la sua vita e quella dei suoi uomini.

Artakhšassa lo fissò per un lungo momento poi la sua voce si alzò chiara e glaciale nel silenzio devastante del campo di battaglia:

"La pietà di uno potrebbe divenire la sciagura di molti..."

Poi on un rapido gesto, estrasse un pugnale e, senza esitazione, sgozzò l'ufficiale, il cui corpo cadde pesantemente a terra il suo sangue impregnando la terra.

"Giustiziate gli infedeli, uccidete tutti gli uomini, prendete le donne i bambini."

I suoi seguaci, galvanizzati dalla brutalità del loro leader, seguirono il suo esempio, sgozzando i soldati sopravvissuti con ferocia.

Alla fine le fiamme divamparono più alte, illuminando il deserto con una luce spettrale, mentre l'avamposto veniva completamente raso al suolo.

Artakhšassa osservò soddisfatto il massacro poi si voltò verso i suoi seguaci, sorridendo sotto i veli che celavano il suo volto, e alzata una spada proclamò: "Presto, il deserto sarà libero dalle forze di Titanus!" Un coro di voci rispose con fervore, chiamandolo "Kublai" e inneggiando al loro Profeta. 

The mitrhil's Saga - Il profeta delle sabbie e la veggente delle AcqueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora