Capitolo 2: Nel buio

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Ingrid sentiva il freddo penetrarle fin nelle ossa mentre veniva trascinata verso il campo nemico. Halfdan non l'aveva ancora lasciata andare, il suo pugno di ferro stretto intorno al suo braccio come una morsa. La neve scricchiolava sotto i loro piedi, coperta di sangue e terra smossa. Intorno a loro, i guerrieri di Harald e Halfdan si muovevano come ombre, raccogliendo i bottini della battaglia e assicurandosi che i pochi rimasti di Vestfold fossero catturati o uccisi.

La vittoria era loro.

Ma Ingrid, nonostante il dolore che sentiva per la sconfitta del suo feudo, non poteva permettersi di cedere alla disperazione. Ogni passo che faceva la portava lontano dalla sua casa, lontano da quel poco di stabilità che aveva sempre conosciuto. Era sola in mezzo ai nemici, ma una parte di lei sapeva che era viva, e finché respirava, c'era speranza.

Halfdan si fermò bruscamente davanti alla sua tenda, una struttura spartana ma imponente nel cuore del campo. Con uno strattone, la spinse dentro senza troppe cerimonie, facendola quasi inciampare. Ingrid si riprese in fretta, evitando di cadere e tenendo lo sguardo fisso su di lui.

Dentro la tenda, il calore del fuoco acceso era un sollievo improvviso rispetto al freddo tagliente di fuori. Ma Ingrid non si rilassò nemmeno per un istante. Halfdan la osservava con quegli occhi scuri, che sembravano costantemente in bilico tra curiosità e violenza. Era pericoloso, più di chiunque altro avesse mai affrontato.

«Perché non hai tentato di scappare?» chiese Halfdan, il suo tono quasi privo di emozione. Aveva lasciato che la sua voce scivolasse in quella calma glaciale che la faceva sentire più in pericolo che se avesse gridato.

Ingrid sollevò un sopracciglio, sorpresa dalla domanda. «Dove sarei dovuta andare? Non c'è posto dove potrei nascondermi che tu e il tuo esercito non riuscireste a trovare.»

Halfdan piegò la testa di lato, osservandola come un lupo che studia una preda insolita. «Molti avrebbero provato lo stesso. Avresti potuto correre, tentare la fortuna. Invece sei rimasta, hai combattuto e ora sei qui. Non sei come gli altri prigionieri.»

«Non sono una prigioniera» replicò Ingrid, stringendo i pugni. «Non lo sarò mai davvero.»

Halfdan rise, una risata breve e cupa. «Sei qui, legata dalle mie catene, nel mio campo. Mi sembra che tu sia molto vicina a esserlo.»

Ingrid lo fissò, i suoi occhi azzurri freddi e decisi. «Essere prigioniera è uno stato della mente. Non lascerò che tu o tuo fratello mi spezziate.»

Per un istante, sembrò che qualcosa scattasse negli occhi di Halfdan. Ammirazione, forse? O solo curiosità. Era difficile dirlo con lui. «Hai lo spirito di una guerriera. Questo lo rispetto. Ma questo non significa che non possa farti male.»

Ingrid lo sapeva. Aveva visto il tipo di uomo che era Halfdan, un comandante spietato, feroce, e senza pietà. Ma aveva anche capito che la sua brutalità non era del tutto cieca. C'era qualcosa di più profondo, un senso di sfida, forse anche un desiderio di provare il suo valore contro i più forti.

«Che cosa farai con me?» chiese infine, cercando di mantenere la voce ferma.

Halfdan le lanciò un'occhiata, quasi divertito dalla sua domanda. «Non l'ho ancora deciso. Potrei chiedere un riscatto a tuo padre. Oppure potrei tenerti come garanzia, per assicurarmi che Vestfold rimanga in ginocchio.»

Ingrid non rispose subito, cercando di capire cosa stesse pianificando. La paura le montava dentro, ma non l'avrebbe mostrata. Mai. «Non importa cosa farai. Non sarò mai una tua pedina.»

Halfdan fece un passo verso di lei, e per la prima volta, Ingrid sentì il pericolo farsi più concreto. La sua presenza era opprimente, una forza che sembrava assorbire tutto intorno. «Vedremo» disse infine, la sua voce un sussurro basso che le fece gelare il sangue.

Improvvisamente, la tenda si aprì con un fruscio, e Harald Finehair entrò senza cerimonie. I suoi occhi si posarono prima su Halfdan, poi su Ingrid, con il solito sguardo calcolatore. «Halfdan» esordì Harald, ignorando completamente Ingrid. «Abbiamo preso il controllo del feudo. Il conte è fuggito, ma lo troveremo presto.»

Halfdan annuì, come se non fosse sorpreso. «Lo immaginavo. Quel codardo non affronta mai la morte quando gli è vicina.»

Harald si avvicinò al fuoco, le mani appoggiate dietro la schiena, e guardò il fratello con quella calma studiata che usava sempre nelle situazioni delicate. «E la ragazza? Cos'hai intenzione di fare con lei?»

Halfdan si voltò leggermente verso Ingrid, le labbra piegate in un ghigno. «Lei resterà con noi. Vediamo quanto valore può avere agli occhi di suo padre.»

Harald annuì, ma il suo sguardo tradiva una certa diffidenza. «Non sottovalutare il conte. Se lo conosciamo bene, cercherà di contrattaccare o liberarla. Tienila sotto controllo.»

«Lo farò» replicò Halfdan, con tono sprezzante. Era chiaro che il consiglio del fratello non era necessario. Sapeva cosa stava facendo. O almeno così sembrava.

Harald si girò verso Ingrid, gli occhi stretti. «Stai attenta, ragazza. Non tutti sopravvivono a lungo nel nostro campo.» Poi, senza aspettare risposta, si voltò e uscì dalla tenda, lasciando Ingrid e Halfdan soli ancora una volta.

Il silenzio che seguì era opprimente, quasi pesante. Ingrid sentiva il peso del pericolo, ma anche una nuova consapevolezza. Non era più semplicemente una guerriera di Vestfold. Era una prigioniera in una partita di potere tra uomini che non conoscevano pietà.

Halfdan la guardò per un lungo momento, poi si girò verso il fuoco, lasciando che il calore gli riscaldasse le mani. «Domani partiremo all'alba. Se fossi in te, proverei a riposare.»

Ingrid lo fissò, consapevole che la sua prigionia non sarebbe stata semplice. Ma una cosa era certa: non avrebbe ceduto. Anche legata, anche nelle mani dei suoi nemici, avrebbe trovato un modo per combattere.

Si rannicchiò nell'angolo più lontano della tenda, con lo sguardo fisso sul fuoco che crepitava piano. Il calore era un sollievo temporaneo dal gelo che sentiva non solo nel corpo, ma nell'anima. Le braccia ancora le facevano male per la lotta contro Halfdan, ma era la stanchezza mentale a pesarle di più. Il campo era pieno di suoni: i guerrieri che ridevano, il clangore delle armi, il vento che fischiava tra le tende. Tuttavia, Ingrid si sentiva incredibilmente sola in mezzo a quel caos.

Si sdraiò su un piccolo tappeto di pelliccia ruvida, stringendosi nelle braccia. Aveva bisogno di riposare, di raccogliere le forze per quello che l'attendeva. Ma ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva il volto di suo padre, la battaglia appena terminata, il destino incerto che l'aspettava.

"Domani," si ripeté tra sé e sé, tentando di calmare la mente. "Domani penserò a come liberarmi."

Il pensiero la rassicurava, anche se sapeva che era una promessa quasi impossibile da mantenere. Non poteva permettersi di crollare, ma il sonno era inevitabile. Lentamente, nonostante il freddo e il rumore, gli occhi di Ingrid si chiusero, il corpo cedette alla stanchezza. E mentre sprofondava in un sonno inquieto, la sua mente continuava a macinare piani di fuga, sempre vigile, sempre pronta a combattere, anche nel mondo dei sogni.

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Shadows of Vestfold ||VIKINGS FANFICTION||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora