Capitolo 1: Il fuoco della battaglia

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La notte era calata su Vestfold come un mantello d'inchiostro, inghiottendo il villaggio nel silenzio. Le torce, disseminate lungo le mura del feudo, gettavano ombre danzanti sulle figure dei guerrieri pronti a difendere la loro casa. Ingrid era in piedi accanto alla grande porta principale, il viso appena illuminato dalle fiamme tremolanti.

Il suo cuore batteva forte, ma non per paura. La tensione prima dello scontro era una vecchia compagna, qualcosa che ormai conosceva bene. Le sue dita tamburellavano leggere sull'elsa della spada, pronte a stringerla al primo segnale. Intorno a lei, gli uomini di Vestfold erano in attesa, come lupi affamati, con lo sguardo fisso verso l'oscurità che nascondeva il nemico.

Un corno lontano ruppe il silenzio della notte. Ingrid sollevò lo sguardo, i muscoli tesi come una corda pronta a spezzarsi. Il suono cupo e profondo si diffondeva dall'acqua, e sapeva cosa significava: i drakkar erano arrivati.

«Si stanno avvicinando!» gridò uno dei suoi uomini dalle mura, puntando il dito verso il mare.

Ingrid strinse la spada e si fece avanti, sentendo l'adrenalina correre nelle sue vene. Si girò verso i suoi guerrieri, osservando i volti segnati dal gelo e dalla battaglia. «Non ci arrenderemo! Ricordate per cosa combattiamo. Questo è il nostro feudo, la nostra casa!»

Gli uomini risposero con un mormorio di approvazione, le loro mani strette attorno alle armi. Ma anche tra loro, Ingrid poteva vedere il dubbio insinuarsi. L'esercito di Harald era temuto in tutta la Norvegia. Avevano razziato, distrutto e soggiogato chiunque si fosse messo sul loro cammino.

Lei scosse il capo, decisa a non cedere alla paura. Non lo avrebbe permesso, né per se stessa né per i suoi uomini.

Sull'acqua, i drakkar scivolavano rapidi e silenziosi, come serpenti predatori. Halfdan il Nero, in piedi a prua della sua nave, osservava le mura del feudo di Vestfold, i suoi occhi neri come la notte. La luce delle torce brillava in lontananza, piccoli bagliori che sembravano sfidare l'oscurità che lui stesso portava con sé. Dietro di lui, l'esercito era pronto, armi sguainate e scudi sollevati. Guerrieri implacabili, molti dei quali avevano già combattuto e vinto sotto il suo comando.

«Hanno paura di noi» disse uno dei suoi uomini, Orvar, con un sorriso crudele che gli distorceva il volto.

Halfdan non rispose immediatamente. Si limitò a fissare la costa, i suoi pensieri persi in un silenzio che solo lui comprendeva. Era abituato alla guerra, alle urla e al sangue. Ma questa notte, c'era qualcosa di diverso. Una tensione che non riusciva a scrollarsi di dosso.

«Questo feudo è importante per mio fratello» mormorò infine, più a se stesso che agli altri. «Perciò lo sarà anche per me.»

Orvar annuì, non osando fare altre domande. Sapeva che Halfdan aveva una strana connessione con Harald, una combinazione di rispetto e competizione che spesso sfociava in azioni imprevedibili.

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