Capitolo 5: Le difese di Rogaland

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Il vento gelido di Rogaland tagliava la pelle come lame invisibili, ma gli abitanti erano ormai abituati a quel clima brutale. La costruzione delle nuove difese per il regno di Harald era iniziata all'alba, e non c'era nessuno che potesse evitare il duro lavoro, nemmeno Ingrid. Le nuove palizzate, torri di guardia e strutture fortificate avrebbero assicurato a Harald il controllo del territorio, prevenendo incursioni e ribellioni future.

Ingrid venne portata tra la folla, osservando con attenzione chi si trovava accanto a lei: giovani, bambini e persino anziani, uomini e donne, tutti piegati sotto il peso delle travi di legno e della terra. Nessuno era immune alla fatica, nemmeno coloro che un tempo godevano di un rango elevato come lei. La sua cattura non aveva spezzato la sua determinazione, ma le risorse a sua disposizione erano limitate. Ingrid non era più la figlia di un conte; ora era una prigioniera, ridotta a schiava, e doveva adattarsi.

Halfdan era lì, come un'ombra costante, a sorvegliare ogni suo movimento. La sua espressione tradiva il consueto disprezzo, ma dietro i suoi occhi si celava una curiosità che Ingrid non poteva ignorare. Per lui, Ingrid non era solo una prigioniera; era una sfida, una provocazione che non riusciva a domare.

«Spero tu sia abituata a questo genere di lavori,» le disse con una risata grezza mentre le passava accanto, osservandola sollevare un grosso tronco con difficoltà. «Forse è meglio così. Il titolo di figlia del Conte non ti è mai servito a molto, dopotutto.»

Ingrid lo fissò, i muscoli tesi sotto lo sforzo del lavoro e il freddo pungente che le faceva tremare. «Meglio sollevare un tronco che servire te, Halfdan. Almeno il legno non parla.»

Halfdan si fermò, il sorriso di scherno dipinto sulle sue labbra. «Oh, ma è proprio il tuo parlare che mi tiene sveglio, ragazza. Mi chiedo quanto a lungo continuerai a resistere, o se alla fine implorerai pietà come fanno tutti.»

Ingrid sapeva che Halfdan amava provocarla, testare i suoi limiti. Ma si rifiutava di cedere. «Se pensi che cederò, allora non conosci davvero la mia famiglia. Non siamo nati per implorare.»

Halfdan si avvicinò, abbastanza da farle sentire il suo respiro caldo contro la pelle fredda. «Credi di essere diversa dagli altri? Credi che tuo padre ti abbia resa speciale? Sei solo una pedina, Ingrid. E una pedina si muove come il giocatore comanda.»

Ingrid sollevò il mento, il coraggio nei suoi occhi azzurri brillava sotto il cielo grigio. «E chi è il giocatore, Halfdan? Tu? O tuo fratello? Perché, a quanto vedo, sei sempre tu quello che esegue gli ordini.»

Le parole le uscirono dalla bocca come un veleno, un colpo ben assestato che fece scattare qualcosa dentro Halfdan. L'uomo le si avvicinò di più, l'aria intorno a loro caricata di tensione, i suoi occhi che lampeggiavano di rabbia e un desiderio di affermare il suo potere. «Stai attenta, Ingrid. Non vuoi scoprire quanto poco può valere la tua vita in questo luogo.»

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