1.

623 26 2
                                    

Stavo per riscrivere la storia?
Di quello non potevo esserne sicuramente certa ma potevo essere sicura di aver dimostrato tanto su quel campo.

Ero terribilmente terrorizzata dalla finale ma allo stesso tempo ero estremamente fiera di me stessa, della semifinale che avevo giocato e del percorso che mi aveva portata fino a lì.

Ce l'avevo fatta,
avevo appena raggiunto la finale nel mio primo Grand Slam, partendo dai turni di qualificazione settimane prima fino ad arrivare a giocarmi lo Slam.

Ecco, potevo sicuramente dire che il mio debutto nel mondo delle tenniste professioniste era assolutamente partito con il piede giusto.

E non potevo non esserne felice.

Avevo diciannove anni e la vita non era mai stata particolarmente dalla mia parte, ma come si dice? La vita è inaspettata e io ne avevo finalmente ricevuto le prove.

Negli ultimi anni avevo imparato a rialzarmi, tenere la testa alta e ad andare avanti superando tutti gli ostacoli che mi intralciavano il cammino, non era stato per niente facile ma non mi ero mai tirata indietro e nemmeno in quel momento ritrovandomi quell'opportunità tra le mani lo avrei fatto.

La cosa più divertente? Nessuno se lo aspettava, nemmeno la sottoscritta.

Si, avevo vinto molto da junior, ero conosciuta, ma quale erano le probabilità che durante il mio primo torneo, nonché il mio primo slam, tra le professioniste, sarei arrivata in finale?
Pochissime ma eccomi lì, avevo stupito tutti e i giornalisti non vedevano l'ora di intervistarmi.

Già dopo la vittoria ai quarti erano tutti entusiasti ma giorni dopo con in mano una finale lo erano il triplo.

Così dopo aver fatto una doccia veloce e raccolto i miei capelli biondi ancora bagnati in una crocchia disordinata, avvolta nella mia confortevole felpa azzurra mi diressi verso il corridoio della conferenza stampa.

Durante il tragitto dallo spogliatoio ricevetti tanti sorrisi e complimenti che non facevano che accrescere il senso di calore e felicità che mi si stava propagando per tutto il corpo.

Purtroppo però non avevo ancora avuto la possibilità di abbracciare l'uomo che aveva reso tutto ciò possibile, che mi aveva aiutata a rialzarmi e mi aveva permesso di arrivare dove mi trovavo.

Dopo il punto del mio match point i nostri sguardi accompagnati da qualche lacrima di gioia mista a commozione ed un sorriso speciale si erano trovati subito, erano bastati quelli e il suo labiale composto da solo tre parole «Sono fiero di te.» a farmi capire che dovevo tutto a quell'uomo.

Non vedevo l'ora di fiondarmi tra le sue braccia muscolose.

Ma prima di ciò avrei dovuto affrontare quella che in poche settimane era diventata praticamente un incubo, se Dante fosse vissuto nei nostri anni l'avrebbe sicuramente aggiunta nell'inferno, la sala stampa.

Permettetemi di spiegare, non odiavo rispondere alle domande, odiavo le domande dei giornalisti impiccioni.

Arrivai alla sala stampa con il cuore che batteva forte. Appena varcai la soglia, l'addetto mi accolse con un sorriso caloroso e un cenno della mano, invitandomi a entrare. Le luci erano puntate su di me, come riflettori, e sentii immediatamente il peso di quegli sguardi curiosi.

Erano tutti lì per me.

Non riuscivo ancora a credere di essere in finale del mio primo Grand Slam, il debutto tra le professioniste.

Nessuno se l'aspettava, forse nemmeno io.

Mi feci strada tra le sedie, salutando i giornalisti con un sorriso che speravo fosse rilassato, ma dentro di me sentivo quella stretta tipica del nervosismo. Alcuni mi risposero con cenni della testa, altri con sorrisi. Alcuni li conoscevo già, li avevo visti durante i tornei junior, ma questa era tutta un'altra dimensione.

GAME, SET, LOVE//Jannik SinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora