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Non sapevo come mi ero ritrovata al Royal Botanic Gardens di Melbourne con Jannik quella sera.
Le luci soffuse dei lampioni illuminavano i sentieri tra gli alberi, mentre l'aria fresca era intrisa del profumo dei fiori. Non c'era nessun programma definito, ma forse era proprio questo il bello. Era tutto improvvisato, come il bacio che ci eravamo scambiati poche ore prima.

Ci eravamo lasciati il trambusto degli Australian Open alle spalle: le interviste, le celebrazioni, i fotografi. Jannik aveva preso la mia mano e, senza dire una parola, mi aveva condotto qui. Ora camminavamo fianco a fianco, in silenzio, ascoltando solo i nostri respiri e il suono lontano delle cicale.

«Clelia» disse all'improvviso, fermandosi sotto un grande albero di eucalipto. La sua voce era calma, ma nei suoi occhi c'era qualcosa di più profondo, un misto di determinazione e vulnerabilità. «Sai, non avrei mai pensato che questo torneo avrebbe cambiato la mia vita in così tanti modi.»

Lo guardai, incerta su cosa dire. Non ero sicura se intendesse la vittoria, o qualcosa di più personale.

«E non parlo solo del titolo.» continuò, confermando i miei sospetti. Fece un passo verso di me, lasciandomi senza fiato. «Tu... hai reso tutto questo ancora più speciale.»

Il mio cuore batteva all'impazzata. Non ero mai stata brava con le parole, e in quel momento mi sentivo più goffa che mai. «Jannik, io...» balbettai, cercando di mettere ordine nei miei pensieri.

Ma lui scosse la testa e mi sorrise. «Non c'è bisogno di dire nulla. Volevo solo che lo sapessi."»

Ci fu un attimo di silenzio, poi indicò una panchina poco distante. «Ti va di sederti?»

Annuii, e ci accomodammo sotto l'albero, con la città che brillava in lontananza. Parlammo di tutto e di niente: delle nostre partite, delle emozioni provate sul campo, dei sacrifici fatti per arrivare fin lì. Ma ogni tanto, i suoi occhi incontravano i miei, e in quei momenti sentivo che c'era qualcosa di più grande che non avevamo ancora messo a fuoco.

«Non so nemmeno come siamo arrivati a questo punto..» dissi, rompendo il silenzio. «Ci conosciamo da una settimana, eppure... tutto sembra così naturale.»

Jannik mi guardò, con quel suo sorriso appena accennato che lo rendeva ancora più indecifrabile. «Lo so. È tutto così veloce che a volte mi sembra quasi irreale. Ma è anche... giusto, non trovi?»

Inarcai un sopracciglio, quasi divertita. «Giusto? Voglio dire, abbiamo appena vinto gli Australian Open. Non dovremmo essere più concentrati su come gestire le nostre carriere? Siamo i nuovi campioni, Jannik.»

Lui rise piano. «Hai ragione. Forse è un po' folle, ma non riesco a ignorare quello che provo.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Ti sto dicendo che ci ho pensato. Anche troppo. Ma non voglio rimandare qualcosa che potrebbe essere... speciale.»

Quelle parole mi lasciarono senza parole. Sentivo il cuore battere più forte, ma una parte di me era ancora incerta. «Jannik, non è che io non voglia...» Mi fermai, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. «È solo che tutto è successo così in fretta. E se ci stiamo illudendo? Se fosse solo l'adrenalina del torneo a farci sentire così?»

Lui annuì, come se stesse considerando le mie parole. Poi si girò verso di me, guardandomi dritto negli occhi. «Potrebbe essere, Clelia. Ma penso che valga la pena scoprirlo. E se invece fosse reale?»

Le sue parole mi fecero venire i brividi. Mi lasciai andare contro lo schienale della panchina, fissando il cielo sopra di noi. Le stelle erano appena visibili, nascoste dalle luci della città, ma c'erano. Proprio come questa sensazione dentro di me, che non riuscivo a ignorare.

«Non so come risponderti...» ammisi, sincera. «Ma... so che non voglio perdere quello che abbiamo adesso.»

Lui sorrise, quasi sollevato. «Non ti sto chiedendo di rispondere subito. Voglio solo che tu sappia come mi sento.»

GAME, SET, LOVE//Jannik SinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora