2.

620 24 0
                                        

Appena Simone e il resto del team si allontanarono, mi girai verso Giovanni con un'espressione che tradiva tutta la mia agitazione. «Un'ora? Ma come faccio a prepararmi in un'ora?» sentii il tono della mia voce alzarsi di una nota.

Giovanni sorrise, sollevando le spalle con la sua solita calma. «Clelia, è solo una cena, non devi fare una sfilata di moda.» Lo guardai come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.

«Non capisci! C'è Jannik, il suo team, e poi... è una cena per festeggiare la finale! Non posso presentarmi così, sembro appena uscita da un allenamento!»

Mi guardai dall'alto in basso, osservando i vestiti casual che avevo indosso, e l'ansia cominciò a salire. Giovanni rise, scuotendo la testa. «Vai a prepararti allora, vedrai che sarai perfetta, come sempre.»

Non potevo credere che fosse così tranquillo.

Io, invece, sentivo già il cuore battere più forte, mentre facevo mentalmente il conto del tempo: doccia, trucco, capelli... un'ora non sarebbe bastata.

«Devo correre!» dissi, affrettandomi verso l'uscita
della sala conferenze. La mia mente iniziò a frullare di pensieri. Dovevo trovare qualcosa di carino da indossare, ma anche confortevole. La pressione aumentava, e mentre mi dirigevo verso la mia stanza, la frenesia si impossessava di me.

Arrivai nella mia camera e chiusi la porta dietro di me, il cuore che batteva forte. Mi guardai nello specchio e vidi una ragazza con i capelli ancora bagnati e il viso segnato dalla stanchezza. La conferenza stampa era stata intensa e il mix di emozioni, dalla felicità alla preoccupazione, mi aveva lasciata frastornata. «Respira, Clelia.» mi dissi, ma il tempo scorreva inesorabilmente e la mia mente iniziò a girare.

La doccia doveva aiutarmi a schiarirmi le idee, ma mentre l'acqua calda scorreva sulla mia pelle, il mio pensiero si affollava di riflessioni sulla giornata. Avevo appena raggiunto la finale del mio primo Grand Slam, un'impresa che sembrava surreale.

La pressione della competizione, le aspettative dei giornalisti e le domande sulla mia famiglia mi avevano colpito profondamente. L'immagine dei miei genitori mi tornava in mente, e mi chiesi cosa avrebbero pensato di me in quel momento.

Eppure, Giovanni era lì, un faro di supporto nella tempesta di emozioni che mi avvolgeva.

Mentre mi asciugavo e mi vestivo, sentii un nodo alla gola. Dovevo prepararmi in fretta, ma mi sembrava che il tempo scivolasse via.

La finale era così vicina e io avevo solo un'ora per sistemarmi e rilassarmi prima di uscire con Giovanni e il team di Jannik.

Decisi di indossare un vestito blu, semplice ma elegante, che sapevo avrebbe messo in risalto il colore dei miei occhi. Mentre lo infilavo, mi sentivo un po' più sicura, ma la mia mente non si fermava.

«Se non mi affretto, arriverò in ritardo.» pensai, guardando l'orologio. Ogni secondo che passava sembrava un promemoria della mia inadeguatezza.

Non dovevo lasciare che l'ansia avesse la meglio su di me, eppure era difficile.

Le immagini delle partite giocate fino a quel momento, dei sacrifici e delle fatiche, affollavano la mia mente.

Le notti passate a studiare il gioco, le ore di allenamento sotto lo sguardo attento di Giovanni, tutto sembrava un turbinio di emozioni contrastanti.

Mentre mi truccavo, riflettevo su quanto avessi faticato per arrivare qui. Avevo perso i miei genitori, ma Giovanni era diventato una figura paterna, una guida che mi aveva sostenuto nei momenti più difficili.

E ora, mentre mi preparavo per una cena con il team di Jannik, sentivo il peso di quel legame.

«Devo dirgli quanto significhi per me.» pensai, ma la mia mente continuava a vagare tra le ansie e le preoccupazioni.

GAME, SET, LOVE//Jannik SinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora