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JANNIK'S POV

Mi svegliai con il sole che filtrava attraverso le tende, un raggio che mi colpì in faccia e mi costrinse a stropicciarmi gli occhi.

Il ricordo della serata precedente mi fece sorridere.

L'abbraccio con Clelia, la sua fragilità in quel momento di ansia... non riuscivo a smettere di pensare a lei. Ma non era solo il ricordo di un momento imbarazzante; era qualcosa di più profondo, una connessione che stava crescendo in modo inaspettato.

Dopo aver fatto una veloce doccia e vestito un semplice completo sportivo, scesi nella sala colazioni. Il profumo del caffè appena fatto e delle brioche calde riempiva l'aria, mentre il mio team era già riunito attorno a un tavolo. Salutai altri tennisti italiani, ma la mia mente era altrove.

«Ehi, Jannick, sei con noi oggi?» mi chiese uno dei miei allenatori, Simone, scuotendo la testa.

«Sì, sì... scusate, solo un po' distratto», risposi, forzando un sorriso.

Il mio pensiero tornava sempre a Clelia.
Come stava?
Dopo la tensione della notte precedente, mi chiedevo se avesse avuto una buona notte di riposo.

Mentre assaporavo il caffè caldo e il profumo di croissant freschi aleggiava nell'aria della sala colazioni, la mia mente tornava inevitabilmente a lei.

Non riuscivo a togliermela dalla testa; il suo sorriso, la sua risata contagiosa, e quel momento fragile e intenso che avevamo condiviso nell'ascensore.

Era incredibile come, in una sola notte, il nostro rapporto si fosse avvicinato così tanto. Avevo passato anni a competere, a viaggiare per il mondo, eppure Clelia era riuscita a conquistare un posto speciale nel mio cuore in un tempo così breve.

Il mio pensiero fu interrotto dall'arrivo di Giovanni, il suo allenatore. Entrò nel ristorante con un'aria preoccupata, come se avesse appena ricevuto una brutta notizia. Si avvicinò al nostro tavolo, cercando probabilmente Clelia con lo sguardo.

«Buongiorno, ragazzi. Avete visto Clelia? Non risponde al telefono e non apre la porta», disse con un tono di apprensione nella voce.

«No, non l'abbiamo vista», risposi, sentendo un nodo formarsi nella mia gola. «Era molto stanca ieri sera, forse si è addormentata».

Giovanni fece una smorfia. «Spero di no. Ho paura che il suo passato possa influenzarla... Dopo ciò che è successo, potrebbe sentirsi in crisi».

Ricordai le sue parole durante la conferenza stampa, l'emozione nei suoi occhi, la sua vulnerabilità. Era chiaro che quei traumi avessero lasciato il segno su di lei.

«Cosa vuoi dire? Cosa è successo?» chiese uno dei miei allenatori, inarcando un sopracciglio.

Non avevo intenzione di tenere segreti. «Ieri sera siamo rimasti bloccati nell'ascensore», dissi. Le parole uscirono più velocemente di quanto avessi voluto. «Era spaventata... La claustrofobia l'ha colpita. Ma ho cercato di confortarla».

Giovanni si bloccò e i suoi occhi si rimpicciolirono mentre collegava i punti. «Tu l'hai abbracciata, giusto?»

Rivissi la scena nella mia mente, il suo viso che si rilassava mentre la tenevo stretta. «Sì, ma... non è solo quello. È stata una brutta esperienza per lei. Era sotto shock.».

L'atmosfera al tavolo divenne tesa. Giovanni guardò il suo team e poi di nuovo me, l'ansia nei suoi occhi era palpabile. «Dobbiamo assicurarci che stia bene. Potrebbe aver bisogno di noi».

Un senso di urgenza mi attraversò. «Devo andare a controllarla», disse Giovanni.

«Vengo con te», risposi, alzandomi in piedi e gli altri iniziarono a unirsi a noi, preoccupati per la ragazza che avevamo imparato a rispettare e apprezzare in così poco tempo.

GAME, SET, LOVE//Jannik SinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora