Capitolo cinque

406 5 2
                                    


Non è un appuntamento. Non so nemmeno perché ci stia pensando. E, per rimarcare il concetto, decido di andare a cena con gli stessi vestiti indossati per il viaggio, i capelli raccolti in una coda disordinata e il trucco slavato.

Poi però mi pento. Mi faccio allora una doccia veloce, infilo i primi vestiti che trovo sotto mano e scendo per le scale senza nemmeno truccarmi.

Daniel mi aspetta nella sala da pranzo, accanto a due buste di plastica piene di vaschette di alluminio. L'odore caldo di pesce mi pervade le narici, e, per tutta risposta, il mio stomaco brontola in maniera piuttosto rumorosa.

«Ho preso dei piatti tipici locali» mi dice Daniel «solo che poi mi sono reso conto che non sapevo cosa ti piacesse, o se avessi allergie, e quindi alla fine ho comprato un po' di tutto».

«Grazie. Se ti può tranquillizzare, non ho allergie e la mia famiglia dice che sono un bidone». Lui si mette a ridere «Si potrebbe dire che è lo stesso che mia madre pensa di me». Inspiro di nuovo quell'odore paradisiaco e sento le cascate del Niagara scorrermi in bocca. Iniziamo a togliere le vaschette dalle buste e non posso fare a meno di notare: «Hai comprato davvero molte cose per due persone».

«Forse si uniranno anche mia madre e mio fratello, e ci farebbe piacere se arrivasse anche qualche ospite dell'ultimo minuto».

Sì, meglio che si unisca a noi anche il paese intero, perché, mi ripeto ancora una volta, questa è solo una cena senza alcun significato nascosto. Lui deve aver interpretato male la mia espressione contrita, perché si affretta ad aggiungere «Tranquilla. Non credo ne avanzerà molto. Sono sicuro che ci pensa mio fratello a ripulire tutto».

Colgo la palla al balzo. «Hai un fratello?» chiedo con fare innocente. Lui solleva un sopracciglio. Meglio che pensi che io sia interessata –cosa che al momento non posso né confermare né negare– che scopra che sono una giornalista che prepara un'inchiesta guarda caso proprio su suo fratello.

«Ho un fratello più piccolo, si chiama Damian» mi rivela. E quindi la mia ipotesi è stata confermata. «Lavora anche lui in hotel?»

«In un certo senso. Diciamo che è l'intellettuale di casa».

«Scrittore?»

«Traduce. Ma visto che il lavoro latita al momento ci sta dando una mano in hotel».

Che il lavoro latiti ho i miei dubbi, considerato che ho visto i bilanci della Hansen, ma non posso certo dirlo a Daniel. Lui intanto inizia a spacchettare, rivelando tutti i piatti che ha ordinato: crostacei fritti in una soffice pastella, alcune ciotole con quella che sembra una zuppa dal profumo invitante, insalate e pane. Deve aver speso una fortuna: a Boston un tale pasto sarebbe costato un centinaio di dollari, se non di più!

«Ti consiglio di iniziare dal fritto» mi dice Daniel. «Caldo è ancora più buono». Non ho motivi di dubitare delle sue parole: mi avvento sul cibo e mi sento in paradiso. 

Non chiacchieriamo molto, ma apprezzo la sua compagnia. Dentro di me continuo a ripetermi che non è un appuntamento, e che non c'è nulla di romantico, ma, al momento, è di sicuro la cena migliore degli ultimi tre anni. 

«È tutto squisito». «Sono contento che tu abbia apprezzato».

Mi sorprendo di come tutto quel cibo sia riuscito a entrare nel mio stomaco.

«Appena la tua macchina sarà pronta, dovresti fare un giro in paese da King's e dire che ti manda Daniel del Reed Bay»

«Lo farò. Credo proprio di doverti una cena»

Lui si irrigidisce. «No, non intendo...» "In senso romantico" vorrei dire, ma veniamo interrotti dal trillo del campanello all'ingresso.

«Daniel?» domanda una voce femminile «Non vedo nessuna macchina nel parcheggio. Non dirmi che gli ospiti ci hanno dato buca un'altra volta!»

«No» rispondiamo io e lui all'unisono. Due persone si uniscono a noi. La donna è sulla cinquantina, minuta ma con un aspetto curato. L'altro invece l'ho già visto nelle foto online: è Damian Zubcic. O Rebecca Arden, se la mia ipotesi è corretta.

«La macchina della signorina Corey ha avuto un problema e le ho dato un passaggio per l'hotel»

«E le hai offerto anche la cena, vero?» aggiunge Damian sarcastico. Non sospettavo che la sua voce potesse avere un tono così freddo e tagliente. Non è questo che mi aspettavo da una papabile Rebecca Arden, la regina del romance small town. Diamine, non dovrebbe essere la paladina dell'amore a prima vista?

Daniel si irrigidisce, io mi intrometto «Posso tranquillamente pagare la mia metà della cena» poi mi rivolgo a Daniel «Non c'è problema, davvero»

«Non ci provare» il rimprovero della donna è così efficace che io stessa abbasso le mani in segno di resa. «Che non si dica che in questo hotel non sappiamo occuparci degli ospiti»

«Ma...»

«Niente ma, Damian.» la donna lo fulmina con lo sguardo. Io rimango imperterrita a osservare la scena, come se stessi assistendo a una rappresentazione teatrale. Poi sussurra qualcosa al figlio ma, per fortuna, riesco a cogliere le parole «Come possiamo ottenere una recensione a cinque stelle se non sappiamo nemmeno prenderci cura della nostra unica cliente»

Damian sbotta, Daniel inizia a sgombrare la tavola e la signora si rivolge direttamente a me.

«Sono Danica, la proprietaria. Spero che ti troverai bene qui. Non so se mio figlio l'ha già fatto presente, ma la colazione verrà servita alle 8»

È un po' presto per i miei standard, ma la signora è talmente autorevole e autoritaria che non ho il coraggio di replicare. Mi limito a mormorare un ok e a tornare in camera, non prima però di aver ringraziato Daniel.

«Questa è l'idea di ospitalità del New England che vorrei trasmettere» mi dice, con un sorriso che gli illumina il volto. Cielo, dovrebbero prenderlo questo uomo e schiaffarlo su un cartellone pubblicitario all'ingresso del paese. Sono convinta che il turismo in città aumenterebbe del 100%.

«E ti renderai conto che anche mia madre e mio fratello la pensano allo stesso modo» sua madre devo ancora inquadrarla, ma per Damian non ne sono convinta. Certo, il fatto che di primo acchito non mi sia sembrato troppo simpatico mi aiuta a non farmi troppi scrupoli con la mia inchiesta, ma a questo ci penserò dopo.

Prima però mi aspetta una nottata di riposo.

________________________________________

Mi trovo su una scogliera. Sento sotto di me il rumore del mare che si infrange sugli scogli. Una macchina rossa decappottabile è ferma al lato della strada. C'è una donna al volante: indossa gli occhiali da sole e ha i capelli coperti da un fazzoletto. Sembra una diva del cinema anni '50. Io mi avvicino. "Signora ha bisogno di aiuto?". Lei mi guarda. Il suo volto ha qualcosa di strano, ma non riesco a capire cosa.

"No, mi sono fermata per ammirare il panorama. Sto andando in paese. Lei, piuttosto... ha bisogno di un passaggio?"

Mi volto, ma non vedo la mia macchina. "Va bene" rispondo. Salgo in macchina. La donna inizia ad accelerare, e a imbroccare le curve in modo spericolato. Io mi aggrappo al sedile. Il vento mi scompiglia i capelli. "Si fermi per favore" sento che sto per rimettere.

"Si rilassi e si goda il viaggio" mi risponde lei. Il vento aumenta, così come la velocità della macchina.

"Voglio scendere" dico, ma lei non accenna a frenare. "Non può scendere proprio ora". La guardo meglio, ma c'è sempre quel dettaglio che non capisco.

"Chi è lei?" chiedo, e ormai sto gridando. Lei sorride e si toglie gli occhiali da sole. Il suo volto si trasforma in quello di Damian Zubcic.

"Sono Rebecca Arden" mi dice, prima di sfondare il guard–rail e lanciarsi a tutta velocità verso il mare.

La sveglia suona. Sono tutta sudata e non mi sento troppo bene. Sarà stata colpa della zuppa di aragosta?

Mi siedo sul letto. Ho avuto in incubo.

Questa vicenda mi porterà al burnout!

Rebecca Arden non esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora