La redazione era un caos, come sempre. Il ticchettio frenetico delle tastiere mi circondava, mentre cercavo di concentrarmi sull'articolo che stavo scrivendo. L'orologio del computer segnava le dieci del mattino, ed eravamo già immersi nella frenesia tipica di una giornata di scadenze. La luce naturale che filtrava dalle ampie finestre si mescolava a quella fredda delle lampade a sospensione, creando un'atmosfera vibrante, piena di energia e di storie in divenire.

Avevo quasi finito un pezzo sulla mostra d'arte contemporanea che avevo visitato nel fine settimana, ma la mia mente continuava a vagare. C'era qualcosa che mi sfuggiva, un vuoto che non riuscivo a riempire, nonostante tutte le parole ben scelte sullo schermo. Stavo per riscrivere l'ultima frase quando sentii una tazza di caffè posarsi sulla mia scrivania.

«Ecco, te ne serve uno. Lo so che stai per esplodere» disse June, con un sorriso complice.

Alzai lo sguardo e la trovai lì, impeccabile come sempre. June era il mio opposto in molti modi: solare, sempre sicura di sé, con i capelli biondi che sembravano non perdere mai una ciocca fuori posto. Portava una camicetta vivace sotto il blazer rosso, proprio di chi vuole dare nell'occhio, e con la sua espressione allegra, rendevano impossibile ignorarla.

«Grazie» dissi, prendendo il caffè. «Come fai a capire quando sto per esplodere?»

«Clare, sei una bomba a orologeria quando ti metti davanti al computer» rispose lei con una risata, appoggiandosi al bordo della mia scrivania. «Lo vedi questo?» Indicò il mio sopracciglio destro. «Quando si solleva così, è il segnale. Significa che stai per perdere la pazienza. E lo vedo sempre.»

Scossi la testa sorridendo. June aveva un modo unico di tirarmi fuori dai miei pensieri, e le sue battute, per quanto fossero banali a volte, riuscivano sempre a strapparmi un sorriso.

«A proposito, che stai scrivendo stavolta? Un altro dei tuoi pezzi intellettuali che fanno sembrare tutti noi ignoranti?» mi provocò, sorseggiando il suo caffè.

«Un articolo su una mostra d'arte contemporanea» risposi, facendo una smorfia. «Niente di esaltante, solo un sacco di installazioni che nessuno capisce davvero.»

«E tu? Tu l'hai capita?» mi chiese, alzando un sopracciglio.

«Ho fatto del mio meglio per sembrare intelligente, come al solito» ribattei. «Non so perché continuano a mandarmi a queste cose.»

June fece una smorfia giocosa. «Forse perché sei l'unica che sa scrivere senza fare sembrare tutto una lista della spesa?»

Risi, scuotendo la testa. «Tu non hai problemi. Il gossip ti riesce benissimo.»

Lei finse di essere offesa. «Non chiamarlo gossip. È giornalismo investigativo, solo... più leggero. E comunque, qualcuno deve pur dare un po' di pepe a questa redazione.»

«Giusto» dissi, prendendo un sorso di caffè. «Hai parlato con Sandro stamattina? Mi ha chiamato, ma non ho idea di cosa voglia.»

June sbuffò, guardando il soffitto. «Alessandro? Oh, preparati. Quando mi ha vista, mi ha lanciato un'occhiata strana e ha detto qualcosa tipo 'Chissà se Clare si farà intimidire'. Scommetto che ha in mente uno dei suoi incarichi impossibili.»

Alzai gli occhi al cielo. «Perfetto, esattamente quello di cui avevo bisogno.»

«Ma dai, chissà, magari questa volta ti dà qualcosa di interessante» rispose June, dandosi un'aggiustata alla camicetta. Poi fece un passo indietro e mi guardò con un sorriso malizioso. «Anzi, ho una soffiata: ti vuole subito nel suo ufficio. Buona fortuna.»

«Grazie dell'avvertimento» dissi ironicamente, alzandomi e preparando mentalmente una scusa per andarmene il più velocemente possibile. Ma sapevo già che Alessandro non mi avrebbe lasciata scappare tanto facilmente.

In realtà una parte di me era eccitata all'idea di una nuova sfida, di certo meglio di quegli incarichi privi di stimoli e sfide.

Quando entrai nell'ufficio di Alessandro, lui era appoggiato allo schienale della sedia, con l'aria di chi sta per svelare una grande verità. La sua scrivania era un disastro di fogli sparsi, tazze vuote e qualche libro aperto a caso. Il caos, per lui, era confortevole.

«Clare, accomodati» mi disse con il solito tono bonario, indicando la sedia di fronte a lui. «Come stai?»

«Bene, l'articolo è praticamente concluso. A minuti lo avrai sulla tua scrivania.»

«Ooh! Musica per le mie orecchie. Speravo proprio di sentirtelo dire, perché ho qualcosa di molto interessante per te.»

Mi sedetti lentamente, attendendo il continuo. «Così interessante che dovevo essere convocata d'urgenza, immagino.»

Lui sorrise, accendendosi una sigaretta nonostante il suo divieto di fumo in ufficio. «Sai chi è Lucas Raynolds?»

Inarcare il sopracciglio fu istintivo. «L'imprenditore? Proprietario di una catena di ristoranti di lusso qui e in Italia, molto chiacchierato. Sì, direi di sì. Perché?»

Alessandro prese un tiro dalla sigaretta e si appoggiò allo schienale con un sorriso soddisfatto. «Voglio che tu scriva un pezzo su di lui. Ma non il solito articolo da copertina. Voglio che tu lo conosca, che scavi a fondo. C'è molto di più dietro quel volto affascinante, credimi. Voglio che tu veda cosa si nasconde sotto.»

Mi piegai in avanti, interessata nonostante il mio scetticismo. «E perché pensi che ci sia qualcosa di nascosto?»

Carlo fece una pausa, poi mi lanciò un'occhiata con un mezzo sorriso. «Perché Lucas Raynolds non è solo un imprenditore di successo. È uno di quelli che si muovono dietro le quinte. Sai, ha mani in pasta ovunque: politica, eventi, finanziamenti... e ha un modo tutto suo di ottenere ciò che vuole. Voglio che tu scopra chi è veramente.»

«Quindi vuoi un pezzo investigativo?» chiesi, cercando di non sembrare troppo sorpresa. «Vuoi che scavi nel fango?» Sentivo già risalire in me una gran voglia di scoperta, un'eccitazione che solo questo lavoro è riuscito a farmi provare in tutti questi anni.

Alessandro rise, scuotendo la testa. «Non sto dicendo che sia un criminale, Clare. Ma c'è sempre una storia dietro le storie, e io voglio che tu la trovi. E se scopri qualcosa di più interessante, tanto meglio.»

La sua espressione si fece più seria, e per un attimo vidi il giornalista esperto che era una volta, non solo il caporedattore che passava la giornata a delegare. «In più, diciamo che Raynolds ha l'abitudine di lasciare un'impressione sulle persone. Voglio vedere come te la cavi con lui.»

Questa frase mi fece sorridere. «Mi stai dicendo che dovrei preoccuparmi?»

Carlo ridacchiò, spegnendo la sigaretta nel posacenere. «Dico solo che non è uno che si lascia intervistare facilmente. E poi...» Mi lanciò uno sguardo complice. «Si dice che faccia perdere la testa a tutte le donne con cui entra in contatto. Ma confido che su di te non sortirà alcun effetto»

Mi appoggiai allo schienale della sedia, incrociando le braccia. «Mi hai scelta per il mio profilo professionale o privato, Sandro?»

Lui alzò le mani, simulando la resa. «Ehi, sai che ho un gran rispetto per il tuo lavoro e soprattutto una sincera ammirazione. Voglio solo vedere come gestirai la situazione. Ho bisogno di un pezzo sincero, dettagliato, ma non solo... se possibile, vorrei una storia che nessuno avrebbe mai il coraggio di raccontare.»

Annuii, sentendo la familiarità della sfida crescere dentro di me. «Va bene, allora. Ma se non trovassi nulla o venisse fuori una storia che non ti piace, non lamentarti.»

«Fidati di me» disse Alessandro con un sorriso. «Non vedo l'ora di leggere cosa tirerai fuori.»

Mi alzai, pronta a chiudere l'incontro, ma lui mi fermò con un ultimo commento. «E, Clare... quasi dimenticavo. Stai attenta, uno così è abituato a ottenere tutto quello che vuole.»

Scossi istintivamente la testa, stizzita. «Non sono il tipo» risposi, ed uscii.

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