Otto meno dieci. Ero in piedi davanti alla grande vetrata del ristorante, osservando le luci della città che si riflettevano nel vetro. 

Ma la mia mente vagava altrove.

Ripensavo a Clare. Solo pochi giorni prima era stata nel mio attico ed aveva avuto quella sicurezza sfrontata di prendere in mano la situazione e mettermi in difficoltà. Dio, quanto mi aveva fatto impazzire il momento in cui si era avvicinata, il modo in cui mi aveva guardato, il modo in cui i nostri visi si erano sfiorati. Quella scena, quelle labbra continuavano a tormentarmi e la tensione da quel momento era salita, palpabile, come una corrente elettrica nell'aria. Non eravamo arrivati a baciarci, ma era come se tutto in noi ci stesse portando lì.

Non avrei dovuto pensare a lei in quel modo. Clare era una giornalista, con occhi curiosi e una mente sempre al lavoro. E poi, quel fuoco che aveva nei suoi occhi... era pericoloso. Poteva scoprire molto più di quanto il mondo fosse pronto a ricevere. O, peggio, poteva arrivare a vedermi per quello che sono davvero.

Eppure, il pensiero di lei non mi lasciava tregua.

Mi misi a passeggiare tra i tavoli spogli, con l'unico sottofondo delle stoviglie provenienti dalla cucina. Cercavo di mantenere la calma, ma se non fosse venuta?
No. Sarebbe venuta per forza, mi raccontai.

Non avevo lasciato nulla al caso, come sempre. Il ristorante era vuoto, silenzioso, come se il mondo esterno non esistesse. Solo io, Clare, e questo spazio che avevo voluto creare per noi.
Avevo disdetto ogni prenotazione, riservato ogni tavolo a noi due. Il motivo? Volevo la sua completa attenzione. Non c'era niente che potesse distrarla. Qui, non ci sono sguardi estranei, nessun rumore di fondo. Solo la tensione che so crescerà tra di noi. Un campo di battaglia perfetto.

«Lucas!» La voce di Adrian mi riportò alla realtà. Mio fratello minore era dietro al bancone della cucina, intento a dare indicazioni al personale. Il ristorante era uno dei suoi preferiti tra quelli che gestivamo, ed era evidente che si sentiva a casa lì.

Adrian mi conosceva fin troppo bene. Senza nemmeno guardarmi, mi lanciò un'occhiata mentre passava a un cuoco un piatto da correggere. «Sei strano stasera. Hai qualcosa per la testa?» chiese con quel tono sarcastico che aveva sempre quando voleva punzecchiarmi.

Sbuffai, ma non lo degnai di una risposta. Se gli avessi raccontato di Clare, avrebbe iniziato con i suoi soliti discorsi sul "tenere separate le faccende personali dagli affari". Ma come potevo? Ogni volta che pensavo a lei, il confine tra quei due mondi si faceva un po' più sottile, e sentivo che passare altro tempo con lei avrebbe solo potuto farlo sparire.

Adrian continuò a lavorare, ma non perse l'occasione di lanciarmi un'altra occhiata. «Sei distratto, fratello. E questo non è da te.»

«Sto bene, Adrian,» risposi secco, ma lui rise piano, scuotendo la testa.

A dire il vero, non stavo affatto bene. C'era una parte di me che avrebbe voluto cancellare Clare dai miei pensieri, come un file indesiderato. Ma un'altra parte... quella parte più oscura e più affamata, non riusciva a fare a meno di volerla rivedere. Di più: volevo scoprirla, decifrare ogni mistero nascosto dietro ai suoi occhi. Sentivo la sfida, e mi stuzzicava.

«Noto solo che per questo giornalista ha avuto fin troppi accorgimenti. Spero solo non ti stia mettendo in difficoltà.»

«Non preoccuparti, tuo fratello ha tutto sotto controllo.» Ammiccai, lasciandolo al suo lavoro, dirigendomi verso il nostro tavolo. 

Mi chiesi cosa avesse pensato del nostro ultimo incontro. Si era allontanata con quell'aria provocatoria, come se avesse già vinto un primo round. Ma stasera sarebbe stata diversa. Questa volta, non sarei stato io a scoprirla. Lei sarebbe stata costretta a rivelarsi, anche solo un po'. E per questo avevo bisogno di uno scenario perfetto.

Stavo riflettendo su questo quando la vidi entrare.

E Clare, beh... non aveva intenzione di rendermi la cosa facile.

Il cuore mi saltò in gola.

Clare era un'opera d'arte in movimento. Indossava un vestito rosso, talmente aderente da sembrare disegnato sulla sua pelle. Le sue gambe erano lunghe e aggraziate, e con ogni passo, sembrava che il tessuto scivolasse leggermente, rivelando solo quanto bastava per farti desiderare di vedere di più. Il suo collo sottile, le spalle scoperte, i capelli castani che le ricadevano morbidi tutt'intorno. Ogni dettaglio gridava eleganza e seduzione. E quegli occhi... quegli occhi mi inchiodarono ancora. 

Sicura di sé, consapevole del potere che aveva sul momento. C'era un'audacia nel suo portamento, un modo di camminare che catturava ogni sguardo di chi le stava intorno. Ma in quel momento c'ero solo io, il suo sguardo era su di me ed ogni mia attenzione era su di lei.

Per un istante, dimenticai dove mi trovavo, dimenticai chi ero e per cosa ero lì. C'era solo lei.

Le sue labbra, rosse più dell'abito, si piegarono in un sorriso appena accennato, quello che usa quando sa di avere il controllo della situazione. E in quel momento capii: era lei ad avere il potere, non io. O almeno, così sembrava.

«Sei arrivata.» Le parole uscirono calme, ma sentivo che dentro di me qualcosa si stava accendendo. «Sei in ritardo,» dissi quando fu abbastanza vicina da sentirmi.

«Volevo vedere se eri davvero impaziente di vedermi,» rispose, la sua voce morbida, bassa, come una promessa di riprendere quella sfida sottile e continua tra di noi.
E non potevo fare a meno di volerla vincere.
Ogni parola che pronunciava, ogni movimento che faceva, era una sfida. Eppure, dietro quella sicurezza, c'era qualcos'altro. Qualcosa che mi stava spingendo sempre più vicino al confine.

Mi schiarii la gola, cercando di riprendere il controllo. «Ti avevo chiesto di essere audace, ma questo supera le aspettative.»

Clare rise piano, un suono che mi fece correre un brivido lungo la schiena. «Altrimenti che gusto ci sarebbe?»

Sorrise, quel sorriso che aveva il potere di destabilizzare. Si avvicinò con passo sicuro, elegante. Potevo vedere che sapeva esattamente cosa stava facendo, come il vestito rosso aderente fosse una parte della sua strategia. Ma non era solo il vestito. Era tutto in lei: il modo in cui inclinava leggermente la testa, il modo in cui i suoi occhi mi fissavano, senza esitare.

«Tutto questo solo per me?» chiese, facendo un cenno verso il ristorante vuoto, mentre si avvicinava al tavolo.

«Solo per noi.» Le indicai la sedia di fronte a me. «Volevo che fossimo soli, senza distrazioni.»

Lei si sedette lentamente, e per un momento ci fu solo silenzio tra noi, rotto solo dal leggero fruscio del suo vestito quando si mosse. Non avevo bisogno di parole per sentire il peso di quella tensione. Clare era un'avversaria formidabile, e sapevo che qualsiasi gioco avesse in mente, non sarebbe stato facile.

Dovevo stare attento. Clare non era solo una distrazione passeggera. E più si avvicinava, più sapevo che sarebbe stata anche la mia rovina, se avessi abbassato la guardia. Ma mentre la fissavo nei suoi occhi brillanti e nei suoi modi sicuri, un pensiero mi attraversò la mente, chiaro e innegabile: non potevo fare a meno di voler giocare, e non riuscivo a immaginare un modo migliore di rovinarmi.



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