Ero seduto su una panchina al porto, lo stesso posto dove venivo da bambino con mia madre. Quel suono costante delle onde che si infrangevano contro il molo aveva un effetto strano su di me, un misto di nostalgia e pace. Il profumo del mare mi riportava indietro nel tempo, a quelle giornate in cui tutto sembrava più semplice. Mia madre mi stringeva la mano mentre camminavamo lungo il molo, e parlava di sogni, di futuro, come se avesse sempre saputo che per me sarebbe stato diverso.

Era morta troppo presto, lasciandomi con il vuoto di tutte quelle parole non dette, delle promesse fatte solo a metà. Eppure, tornavo qui. Sempre qui. Forse perché, in qualche modo, era l'unico posto dove riuscivo a mettere a tacere il resto del mondo, dove il passato, con tutto il suo dolore, sembrava quasi... sopportabile.

Accanto a me, Adrian apriva una lattina di birra artigianale, cercando di evitare che schizzasse ovunque. «Questo posto mi fa sempre venire voglia di staccare la spina,» disse, con lo sguardo fisso sull'orizzonte. «È come se tutto il resto sparisse per un po'.»

Annuì lentamente, ma la mia mente era altrove. Ogni volta che tornavo su questa panchina, riaffiorava quel senso di irrequietezza, lo stesso che provavo da quando Clare era entrata nella mia vita. Quel bacio della sera precedente non era stato solo un gesto impulsivo. Era stato come aprire una porta che avevo sempre tenuto chiusa a doppia mandata. Mi ero illuso di poter gestire tutto, di tenere sotto controllo ogni aspetto della mia vita. Ma con Clare era diverso. E per quanto mi sforzassi, non riuscivo a togliermele dalla testa, quelle labbra morbide di cui ancora sentivo il sapore. Di solito ero bravo a mantenere le cose sotto controllo, a mettere una distanza tra me e chiunque tentasse di avvicinarsi troppo. Ma con Clare era diverso. Quel bacio aveva acceso qualcosa, qualcosa che non mi aspettavo, né cercavo.
Anche solo parlarle rendeva difficile mantenere il controllo della conversazione; avevo la sensazione che stessimo ballando esattamente al ritmo che voleva lei e che io non potessi far altro che continuarla ad invitare a ballare.
Non avevo previsto quanto lei sarebbe riuscita a penetrarmi sottopelle.

Non volevo pensarci, eppure, eccola lì, sempre nella mia mente, sfidandomi come se sapesse esattamente quanto mi dava fastidio sentirmi vulnerabile.

Non riuscii a scacciare l'immagine di mia madre che mi parlava di amore, di vulnerabilità, mentre osservavamo le navi che entravano ed uscivano dal porto. Era come se quelle parole, mai davvero ascoltate, mi risuonassero dentro ogni volta che pensavo a Clare. Forse mia madre avrebbe saputo cosa dirmi ora, ma io no. 

«Ti senti mai come se stessi perdendo il controllo?» chiesi a bruciapelo, la mia voce appena un sussurro, mentre osservavo le onde infrangersi con il loro ritmo costante e calmo, un contrasto ironico rispetto al caos dentro di me.

Adrian sollevò un sopracciglio, prendendo un sorso dalla sua lattina. «Se per "perdere il controllo" intendi che una donna ti fa girare la testa più di quanto tu voglia ammettere, allora sì, lo capisco.»

Sbuffai, ma non riuscii a nascondere un sorriso. «È più complicato di così.»

Lui rise, ma con un tono che tradiva comprensione. «Con te è sempre più complicato, fratello.» Fece una pausa e mi lanciò uno sguardo curioso. «Parlami di lei.»

Presi un respiro profondo, il vento del mare che sferzava leggermente il mio viso, portando con sé i ricordi di chi non c'era più. «Si chiama Clare... Non so neanche da dove iniziare. È diversa da tutte le altre. È sveglia, molto sveglia. Ho provato a giocare la mia solita partita, a darle solo quello che volevo e nulla di più. Ma sarà durato cinque minuti, perché lei non si accontenta mai. Vuole di più, sempre di più. E non lo fa in modo aggressivo, lo fa con una calma che mi disarma.»

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