7. SPORT

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Ho fatto solo due sport nella mia vita.

Il primo è stato il nuoto per diversi anni, di cui possiedo alcune medaglie vinte in qualche garetta emergente. Mi piacevano molto le attività che ci facevano fare a lezione, come ripescare oggetti in apnea, tuffi e molto altro, fin quando, dalla piscina per bambini ci spostarono in quella "dei grandi", quella olimpionica.

Lì, io che ero sempre stata un pesciolino, con l'acqua alla bocca invece mi sentivo letteralmente soffocare. E ciò mi creò non poco timore.

Una sera, durante una lezione, l'istruttrice ci fece fare un esercizio in apnea.

Eravamo nella parte più profonda della piscina e senza braccioli o altro, ovviamente non toccavo il fondo di oltre il doppio della mia altezza. Ero solo una bambina.

L'istruttore fischiò, dette il via e tutti scendemmo in apnea. Non so che cosa successe, ma io non riemergevo. Tutti gli altri erano già tornati aggrappati al bordo, li vedevo dal basso, ma io non ci riuscivo.

Non riuscivo a tornare in superficie e nessuno mi stava aiutando.

Mi sentii male, mi prese il panico, arrancai, bevvi e non so come, alla fine riemersi senza fiato, aggrappandomi al bordo con forza, sputando acqua e tossendo a non finire.

In tutto questo, mi accorsi solo una volta ripresa che l'istruttrice era impegnata a chiacchierare di spalle con una collega. Non si era resa conto di niente.

Quella fu la mia ultima lezione. Tornata a casa decisi di abbandonare. Raccontai l'accaduto ai miei. Mia madre come sempre apprensiva, voleva andare a parlare con l'istruttrice e dirgliene quattro, ma risposi che non era necessario.

Ero stanca del nuoto.

La verità? Avevo una paura terribile di rimettere piedi in quella piscina.

Quell'episodio sviluppò in me una fobia matta per l'acqua alta. Sia al mare che in piscina, io dovevo sapere di poter toccare con I piedi il fondo in caso di necessità, per potermi dare la spinta a tornare in superficie, cosa che in quel brutto episodio non ho avuto.

Negli anni ho pensato molto a quel momento e ho fatto anche degli incubi a riguardo. Io che non riesco a tornare in superficie, che apro la bocca anche se so di essere sott'acqua, cercando di chiedere un aiuto che non arriverà mai.

Io dico, è questo il compito degli istruttori? Aspettare di trovarsi un corpo molle galleggiante in piscina prima di intervenire?

Sicuramente no.

E se per imparare uno sport io ci devo rimettere la pelle, mi dispiace ma anche no!

Il nuoto dovrebbe essere divertimento. E da quel momento non lo era più per me.

Quell'episodio è stato forse il primo schiaffo della mia vita. Ho capito che non ci si può fidare completamente delle persone che si hanno attorno, nemmeno se sono professionisti.

Chiuso il capitolo nuoto, durato 6 anni se ne aprì un altro.

Quello della pallavolo.

Dovete sapere che mia madre era un ex giocatrice e spesso capitava di guardare insieme le partite in tv.

Nel mio paese c'erano le iscrizioni aperte, perciò l'anno successivo decisi di provare.

Mi piaceva. E nel frattempo, dalle elementari passai alle medie.

La pallavolo divenne una valvola di sfogo per lo stress accumulato a scuola e la rabbia per tutti i torti ricevuti.

Ero bella tosta in campo. E più mi allenavo e più diventavo brava.

SOLA in un mare di guaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora