Capitolo 35

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Axel

Il suono di un pianoforte gli risuonava nella testa. Non sapeva dove si trovasse, né cosa stesse facendo. Era sopraffatto da così tante vertigini da sembrare ubriaco. Quando uscì, era già notte. Inciampò nel tentativo di camminare. Urtò delle persone, negozi, muri. Non gli importava. Voleva solo dimenticare tutto. Non sentire nulla.

<Axel...> un sibilo nella sua mente, o forse di una persona reale. Non lo sapeva e non gli importava.

Poi si ritrovò a correre per un corridoio stretto e angusto. Incrociò persone che indossavano dei camici slavati come quelli degli ospedali. Il suo cuore palpitava furiosamente. I loro volti erano pallidi, senza espressione. Sembravano tutti morti. Il suono del suo respiro affaticato echeggiava nella sua testa.

Poi si fermò. All'interno di una stanza con la porta leggermente aperta, Sebastian era sdraiato su una brandina. La riconobbe come la cuccetta delle celle di Azkaban. Lo stemma di Grifondoro sul petto scintillava nel buio. Non entrò, ma girò la testa dall'altra parte senza rendersene conto. Non riusciva a guardarlo. In quel momento, il suono del pianoforte ritornò a martellargli le orecchie – poi fiamme; un edificio che crollava. Si premette la testa fra le mani e sprofondò a terra.

<È tutta colpa tua. Se non fosse stato per te...>

Era la sua stessa voce. No, la voce di Sebastian. No, la voce di sua madre.

Era infestato da demoni. Si avventavano sopra di lui nel tentativo di divorarlo. Aveva paura che, se avesse aperto di nuovo gli occhi, avrebbe visto le loro sagome infernali impossessarsi di lui. Cercò di convincersi che non fosse reale, che fosse solo un ricordo sfocato. Non poteva permettersi di diventare folle. Eppure Sebastian era sdraiato lì. Sebastian giaceva in una cella di Azkaban. Non poteva assolutamente entrare. Non poteva controllare di persona. Non poteva aprire gli occhi e scoprire che stava accadendo sul serio.

Quando si alzò, le sue gambe rischiarono di cadere, così come le lacrime dal suo viso. Buffo – pensò – non ricordava l'ultima volta che aveva pianto. Forse gli avevano davvero prosciugato l'anima. Voleva andare via da lì, ma nel momento in cui si mosse, qualcuno gli afferrò un braccio. Non sapeva chi fosse, il suo viso era sbiadito, ma ad ogni modo non gli importava.

<Vattene, non avvicinarti> gli disse – o forse era solo la voce dei suoi pensieri <Non voglio farti del male, lasciami in pace. Per favore, non avvicinarti>

Axel riprese i sensi. Quando aprì gli occhi, le pareti della Stamberga Strillante vorticavano senza sosta attorno a lui – forse gli sarebbero davvero piombate addosso da un momento all'altro. Sbatté le palpebre un paio di volte e strinse i pugni nel tentativo di calmare i suoi tremori. Non ci riuscì. Le sue unghie si conficcarono nelle corde dell'incantesimo Incarceramus: ormai era quasi d'obbligo per far sì che non si contorcesse troppo.

Davanti a lui, Edmund Iversen si asciugava la fronte imperlata di sudore. Liam gli aveva suggerito di fare delle pause tra i ricordi più impegnativi in modo da non consumarlo fino al midollo e per fortuna era stato ascoltato – anche se continuava a pensare che non lo stesse facendo solo per il bene di Axel, ma soprattutto per non estenuare se stesso. Liam, comunque, non aveva partecipato a quella seduta. Non sapeva come sentirsi: forse la sua presenza, con il passare del tempo, gli aveva dato una sicurezza che non aveva mai cercato e adesso la sua mancanza sembrava fin troppo strana.

Dopo la prima volta, le sedute di Legilimanzia erano diventate sempre più difficili. Aveva ingenuamente creduto che sarebbero state meno dolorose, eppure il suo cervello continuava a essere corroso come intaccato dalla magia oscura. Edmund stava migliorando le sue tecniche sulla sua cavia: riusciva a destreggiarsi nella sua mente con maggior facilità rispetto alle prime volte. Per un momento, la cosa l'aveva terribilmente spaventato: avrebbe potuto manipolarlo o farlo impazzire senza problemi e lui gli aveva persino dato il permesso. Sebbene avesse deciso di fidarsi di Edmund, spinto soprattutto dall'opinione che Silente aveva di lui, l'idea di imparare l'Occlumanzia si faceva sempre più tangibile nella sua testa. Avrebbe dovuto imparare a difendere non solo il suo corpo, ma soprattutto la sua mente – sia da un improbabile attacco di Edmund, sia di qualsiasi altra persona con scopi ambigui.

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