Capitolo 22

5 2 0
                                    

Maryl

Era sempre bello vedere il sole d'inverno.

Era come se il gelo avesse deciso di concedere una magnanima pausa alla natura e questa volesse a tutti costi esprimere la sua gratitudine. Le montagne lontane si ergevano imponenti mentre scorrevano lente, tagliando le nuvole bianche che si amalgamavano con la neve delle cime rocciose. L'immensa vallata era ancora spoglia; era troppo presto per la neve. Al suo posto, una distesa d'erba ricoperta dal gelo ondeggiava piatta, accarezzata dalla mano invisibile del vento, mentre gli arbusti e le rocce barbate di muschio rossastro salivano e scendevano continuamente alla velocità del treno e al ritmo delle curve delle colline. La brina dava vita alle complicate ragnatele che si avviluppavano attorno ai rami secchi mentre qualche fiore invernale che sopravviveva al freddo spuntava di tanto in tanto, catturando inevitabilmente il suo occhio, e i falchi volteggiavano meticolosi in cerca di qualche piccolo roditore. Riconosceva una certa familiarità nei paesaggi che le sfrecciavano inesorabilmente davanti, mentre il treno attraversava le radure del Galles, i luoghi in cui era cresciuta e che per anni aveva attraversato per raggiungere Londra.

Era il suo secondo giorno di viaggio: l'Hogwarts Express era arrivato fino a King's Cross nel pomeriggio e dopo aver salutato i suoi amici aveva cambiato treno. Era riuscita a dormire per la maggior parte della notte e quando si era svegliata era già a metà strada. Era impaziente di tornare a casa.

In vita sua non aveva mai conosciuto una persona che amasse la brughiera. Maryl, al contrario ne era innamorata: d'estate era bellissima, ci avrebbe passato le giornate intere, stesa tra l'erica fiorita, col naso all'insù, ad osservare il sole e le nuvole viaggiare silenziose. Se avesse dovuto descrivere la felicità, l'avrebbe rappresentata esattamente così. D'inverno, però, era catastroficamente affascinante, con la sua desolazione solenne e misteriosa. Chilometri e chilometri di distesa di nulla e foschia, terra brulla e incolta, sembrava resuscitare un mal de vivre addormentato in ogni filo d'erba rinsecchito. Amava ogni ramo morto, ogni sasso inerme, ogni nuvola giustiziera.

Quando si ama veramente, si amano anche i lati negativi – pensò. Perché la vita non era mai tutta una brughiera perennemente fiorita e non aveva senso fingere che dovesse essere così.

Appoggiò la testa al sedile e si lasciò illuminare dallo straordinario tepore: il cielo sembrava sorprendentemente sorridente, nel modo in cui l'azzurro limpido e il sole alle spalle del treno si facevano spazio trionfanti tra le nuvole.

A volte il bene vinceva sul male. A volte il bene era troppo forte per essere sconfitto. Pensò di soffocare il sorriso che stava per nascerle sulla bocca, ma non lo fece: in fondo che male c'era nell'essere felici?

Con il corpo gelido per il freddo di fine dicembre che le attraversava i vestiti, si chiuse il pesante portone di legno alle spalle. La punta del naso colorata di rosso per il gelo fu la prima ad avvertire il calore accogliente della piccola casa di pietra alla riva del lago Llyn.

<Dominusterra> il pesante baule che stava levitando davanti a lei ritornò delicatamente a terra, nell'esatto momento in cui apparve sua madre dalla cucina. Charlotte Watson era l'unica persona in grado di associare senza problemi scarpe col tacco e grembiule stropicciato alla vita.

Aveva una delicatezza certamente innata, ereditata dalla famiglia, che a volte neanche il suo carattere irruento e pragmatico riusciva a sopraffare.

<Com'è stato il viaggio?>

<Stressante> sospirò liberando Herman dal trasportino <Dov'è papà?>

Entrò in cucina, seguita dalla madre che sbuffava <E dove vuoi che sia, la Vigilia di Natale? Nello studio a lavorare, come al solito>

Bloodbound - A Wizarding World FanfictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora