Capitolo 36

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Maryl

Stava piovendo.

Non poteva vederlo, infagottata com'era nel confortevole calore del piumone, ma ne sentiva la dolce sinfonia che dalla finestra giungeva nella stanza silenziosa. Il melodico ticchettio dell'acqua che scendeva violenta contro i vetri le provocava una forte sensazione di gioia e tranquillità che non riusciva proprio a respingere.

Si lasciò scappare un sorriso genuino: nessuno lo avrebbe visto, comunque.

Maryl aveva sempre amato la pioggia: le ricordava casa.

Riusciva ancora a percepire sulla pelle le gocce d'acqua che le precipitavano addosso, penetranti come spilli argentati, mentre lei chiudeva gli occhi infreddolita e si lasciava cullare dal ruggire dei tuoni e dallo scorrere incessante dell'acqua. E poi, dall'interno delle sue palpebre tutto diventava bianco e la costringeva ad aprire gli occhi, sorpresa dai fulmini che balenavano senza preavviso, svegliandola da quello stato di estasi, riportandola alla realtà.

Il lago Tal-Y-Lyn era il più delle volte piatto, ma ogni volta che iniziava a piovere i due correvano fino alla sponda del lago, per osservare le gocce cadere sulla superficie dell'acqua come una fanfara di tamburi felici, per osservare i cerchi concentrici dissolversi pian piano. Tutto ciò che veniva incantato dalla danza senza sosta iniziava a muoversi: i banchi di nebbia si precipitavano a circondare le montagne del bacino, venivano loro incontro minacciosi e li costringevano a guardare, ipnotizzati da quel bianco così saturo e accecante. Ricordava bene le risate che echeggiavano nella palude grigia mentre saltavano da una pozzanghera all'altra sporcandosi i vestiti; coprivano i rimproveri di Charlotte che non riusciva mai a trovarli.

Le ricordava le più belle partite di Quidditch nella radura dietro casa, con una scopa più alta di lei e una Pluffa grande due volte la sua testa. Suo padre sbirciava dalla finestra del suo studio, curandosi che non scivolassero sull'erba bagnata.

E poi le gambe accovacciate sul divano, i loro capelli fradici di pioggia e i brividi di freddo che pizzicavano le guance e il collo, mentre fuori il temporale purificava la terra e ridestava i suoi abitanti.

Erano i ricordi più belli che aveva.

Eppure facevano così male.

Scacciò via il pensiero.

Era da sola. Non c'era nessuno.

Una fitta di dolore le colpì lo stomaco. Non doveva andare lì con la testa. Disse a se stessa che era solo colpa della fame e si rigirò nelle coperte.

<Stai dormendo?>

La voce di Theodore interruppe giusto in tempo il flusso dei suoi pensieri, che stava prendendo una piega sbagliata.

<Sì> mugugnò dai meandri del suo rifugio di cotone e piume d'oca.

<Beh, adesso non più>

Sentì la porta chiudersi piano e subito dopo il materasso molleggiò, segno che Theodore si era seduto ai piedi del letto.

<Cosa vuoi?>

<È così che accogli il tuo migliore amico?>

<Sì, fattelo andare bene>

<Relascio>

Le coperte volarono via con troppa violenza, spettinandole i capelli corvini, e una luce inusuale la colpì agli occhi. Maryl si tirò su malvolentieri e si passò una mano sugli occhi prima di aprirli.

La prima cosa che notò fu l'assenza delle due compagne di stanza; la seconda fu la faccia sorridente di Theodore davanti a lei.

<Come ti senti?>

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