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La melodia continuava a fluire, un fiume di note che colmava il silenzio opprimente di quei giorni senza risposte. Con ogni accordo, sembrava che un velo venisse sollevato, eppure Selene rimaneva sempre avvolta in un mistero impenetrabile, un enigma vivente che solo la musica poteva avvicinare. Mentre lei danzava, io sentivo i ricordi confusi dentro di me trasformarsi, mutare, come se la musica stessa fosse una chiave per accedere a qualcosa di più profondo, a verità sepolte nel tempo.

La musica si affievolì lentamente, lasciando solo il crepitio delle candele e il nostro respiro sospeso nel silenzio. Selene si fermò, e per un istante il nostro sguardo si incontrò in una muta comprensione. Non c'era bisogno di parole, in quel momento era come se lei sapesse tutto di me, come se comprendesse il tormento che mi consumava.

“Gabriel,” sussurrò lei, “ci sono verità che vanno svelate solo quando si è pronti a sopportarne il peso. Talvolta, la vita e la morte sono solo due facce della stessa medaglia...”

Quelle parole rimasero sospese nell’aria, e sentii un brivido percorrermi la schiena. Lei sapeva, sapeva cose che io nemmeno osavo immaginare. Ma cos’era realmente Selene? Perché sembrava comparire dal nulla, come un’ombra danzante, e svanire nella stessa misteriosa maniera?

“Perché non mi dite di più?” le chiesi, la voce spezzata dal desiderio di risposte. “Perché continuate a lasciare che io mi perda in questo labirinto senza fine?”

Selene sorrise, un sorriso triste e dolce, come se stesse nascondendo un segreto che non poteva rivelare. “Alcune risposte devi trovarle da solo, Gabriel. Io posso solo mostrarti la via, ma sarà il tuo cuore a condurti fuori dall’oscurità.”

Cercai di replicare, ma lei mi fermò con un gesto leggero, portando il dito sulle mie labbra. Mi guardò, e nei suoi occhi vidi qualcosa che mi scuoteva fino alle ossa, un amore profondo, un affetto che sembrava trascendere il tempo e lo spazio. Per un attimo, pensai di afferrarla, di non lasciarla andare, di obbligarla a dirmi tutta la verità, ma poi capii che nulla avrebbe potuto spezzare il mistero che la avvolgeva.

Con un ultimo sorriso, Selene si allontanò verso le tende, scomparendo tra le ombre come un soffio di vento, lasciandomi solo nella stanza. Un senso di vuoto si impossessò di me, come se un pezzo della mia anima fosse svanito con lei. Corsi verso la finestra, cercando di intravedere ancora il suo volto, ma era già sparita.

Mi lasciai cadere su una sedia, esausto e scosso. La sua presenza mi lasciava sempre più domande e nessuna certezza. Sentivo un legame profondo tra di noi, come se ci fossimo già conosciuti in un tempo perduto, come se la mia vita e la sua fossero intrecciate da un filo invisibile. Ma che cosa significava tutto questo? Cosa rappresentava Selene nella mia vita?
Ogni volta che interagivo con lei, mi sembrava entrare in una diversa dimensione, una irreale, quasi fantastica e non sapevo spiegarmelo.

Tornai nella mia stanza, ancora scosso dall'incontro con Selene e dalla melodia che continuava a rimbombare nella mia testa. Mi avvicinai al tavolino accanto allo specchio, dove ogni notte trovavo allineate le mie pillole, pronte per la solita routine. Osservai il mio riflesso con un senso di estraneità, cercando di ritrovare un briciolo di chiarezza.

Allungai la mano per prendere le pillole, quando, per un istante fugace, nello specchio apparve qualcosa che mi fece sobbalzare: alle mie spalle, riflessa nell’ombra, c’era Selene. Non un’ombra, non un’illusione: era lì, e i suoi occhi scuri mi fissavano con intensità, come se cercasse di comunicarmi qualcosa di importante, qualcosa di urgente. Mi voltai di scatto, ma la stanza era vuota. Nessuno.

Il cuore mi batteva all’impazzata. Mi rigirai verso lo specchio, ma Selene non c’era più. Solo io, e il mio volto pallido riflesso, con le pillole ancora intatte sul tavolino. Non riuscivo a scrollarmi di dosso l'impressione che quell’apparizione fosse un segno, un avvertimento.

Con un impulso improvviso, allontanai il blister delle pillole. Quella sera decisi di non prenderle, come se dentro di me avessi intuito che, per capire davvero ciò che stava accadendo, dovevo mantenere la mente lucida.
Mentre la sera si faceva sempre più profonda, udii un leggero bussare alla porta. Aprii e mi trovai davanti il dottor Brown, il mio terapeuta. I suoi occhi scrutatori si posarono su di me, un sorriso professionale dipinto sul volto, ma c'era qualcosa di inquietante nel suo sguardo.

"Gabriel, come state?" chiese, entrando nella stanza senza attendere un invito. La sua presenza sembrava riempire l'aria di una tensione palpabile.

"Tutto a posto, dottore," risposi, cercando di apparire più tranquillo di quanto mi sentissi.

Il suo sguardo si spostò verso il tavolino, dove le mie pillole giacevano in un angolo, abbandonate. In un attimo, il suo sorriso si trasformò in un'espressione di preoccupazione forzata. "Ah, le vostre medicine. Non le avete ancora prese, vero?"

Sentii un brivido correre lungo la schiena mentre lui si avvicinava. La sua voce, pur mantenendo un tono calmo e rassicurante, aveva un'eco inquietante. "Sapete, è importante seguire il piano terapeutico. Quelle pillole sono lì per un motivo. Possono aiutarvi a ritrovare la stabilità, a sentirvi di nuovo… bene."

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui. Il modo in cui parlava, con quella sorta di insistenza che sembrava nascondere un messaggio più profondo, mi metteva a disagio. La mia mente tornò all'apparizione di Selene e alla mia decisione di non prendere le medicine. Ma il dottor Brown continuava a parlare, la sua voce suonava come un mantra: "È solo un piccolo gesto, Gabriel. Un gesto per il vostro bene. Non lasciatevi sopraffare dalla paura."

Mentre le sue parole si intrecciavano con i miei pensieri, mi resi conto che la sua insistenza non era solo per il mio bene. C’era qualcosa di oscuro nel suo modo di interagire, un’ombra che si nascondeva dietro il suo sorriso. "Dottore, io…" cominciai a dire, ma lui mi interruppe, posando una mano ferma sulla mia spalla.

"Non pensateci troppo, Gabriel. Prendetele. Vi prometto che vi sentirete meglio. E poi… ci sarà molto di più da esplorare insieme."

Le sue parole pesavano nell’aria, e non potevo fare a meno di sentire che dietro a quella facciata rassicurante si nascondeva un’intenzione diversa, una manipolazione sottile.

Dovetti distogliere lo sguardo, combattendo l’istinto di afferrare le pillole e gettarle via. Ma il dottore era lì, immobile e calmo, in attesa della mia risposta, e io sapevo di essere in una trappola. Quell'immagine di Selene che mi era apparsa era un segno? Stavo diventando pazzo?

Il dottor Brown fu ancora più insistente. Presi le pillole colmo di ansia e terrore, non volevo fargli capire che avevo intuito che qualcosa non andasse. Egli fu soddisfatto. Ma la mia vista iniziò a sfocarsi e la mia testa a girare, come mi succedeva spesso nell'ultimo periodo. Il dottore se ne andò, ignorando il mio stato confusionale e io caddi sul letto. Chiusi gli occhi in preda alle fitte dolorose che invadevano le mie tempie e, improvvisamente, sentii una voce a me familiare.

"Gabriel, ti senti bene?"

Era Cassandra. La principessa Cassandra.


A MELANCHOLIC MELODYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora