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Mi svegliai di colpo, nel cuore della notte. Avevo il cuore pesante. La morte della principessa Cassandra e la conversazione con Selene mi tormentavano incessantemente. Finalmente, però, quella donna così misteriosa aveva un nome, un nome che mi solleticava il cuore al solo sentirlo. "Ma è reale?" domandai a me stesso, non riuscivo a capire se quell'incontro fosse stato un sogno o realtà.

Uscii dalla mia stanza nella speranza che una passeggiata nei giardini del castello potesse schiarirmi le idee.

L'aria era fresca, ma il cielo rimaneva cupo, rispecchiando il mio stato d'animo. Camminavo lentamente tra i vialetti, osservando le gocce di pioggia ancora sospese sulle foglie degli alberi. Tuttavia, non riuscivo a liberarmi del senso di oppressione che mi attanagliava il petto.

La tentazione di lasciare il castello e raggiungere il villaggio cresceva dentro di me. Forse, pensai, allontanarmi da questo luogo oscuro e soffocante mi avrebbe permesso di vedere le cose con maggiore chiarezza. Decisi di seguire quell'istinto. Forse nel villaggio avrei trovato informazioni utili o qualcuno disposto a parlare senza paura di essere sorvegliato.

Presi un mantello per proteggermi dalla pioggia e mi avviai verso l'uscita del castello. Il ponte levatoio era ancora abbassato ma i soldati di guardia cercarono di bloccarmi. Dissi allora che volevo pregare sulla tomba della principessa, fu la prima idea che mi venne per convincerli a farmi passare, e fortunatamente riuscii. Attraversai il ponte, sentendo un senso di sollievo nel lasciare temporaneamente quel luogo di morte e mistero.

Mentre mi avviavo verso il villaggio, la pioggia si trasformava in una leggera foschia che avvolgeva il paesaggio circostante. Il peso delle domande senza risposta si faceva sempre più evidente, ma cresceva anche in me una determinazione irremovibile a scoprire la verità.

Arrivato al villaggio, mi resi conto che, data l'ora, non c'erano molti abitanti. C'erano perlopiù contadini o qualche mercante in cerca di una donna di compagnia per il resto della notte. Le strade erano deserte e avvolte in un silenzio spettrale. La luce fioca delle lanterne che si affacciava dalle finestre delle case illuminava appena il selciato umido, mentre una sottile nebbia avvolgeva ogni angolo, conferendo al paesaggio un'atmosfera cupa e inquietante.

Camminai con passo cauto lungo le vie deserte, sentendo il suono dei miei passi echeggiare nel vuoto. Ogni tanto, un gatto randagio attraversava furtivamente la strada, lanciandomi fugaci occhiate curiose prima di scomparire nell'ombra. Le ombre delle case sembravano prendere vita, danzando sinistramente lungo i muri umidi, mentre il vento sussurrava segreti antichi tra i vicoli stretti.

Immerso nei miei pensieri, venni distratto e spaventato da un urlo spaventoso, fortissimo, il quale uscì dalla bocca di una donna poco distante da me. Mi girai verso di lei, il suo dito era puntato contro di me, i suoi occhi erano colmi di terrore, la sua figura era completamente paralizzata.

"Un fantasma! Un fantasma!" Urlò continuamente, spaventando molto anche me.

I pochi passanti si girarono, mi guardavano con aria sinistra, incredula, qualcuno addirittura scappò. "Il fantasma del pianista!" esclamò la donna, poi chiuse gli occhi e si voltò, come se non volesse assistere a una visione così spaventosa..

Mi guardavo in giro, col cuore che batteva furiosamente, incapace di interpretare quella situazione.

"Io? fantasma?" sussurrai preso dall'ansia.

Con un sobbalzo, mi ritrassi di fronte al grido straziante della donna, sentendo il cuore battere furiosamente nel petto. Deglutii con difficoltà, cercando di contenere la paura che mi assaliva mentre gli occhi sgomenti della sconosciuta mi scrutavano con terrore. Senza esitazione, voltai i tacchi e mi allontanai di corsa, il respiro affannato e gli occhi colmi di lacrime mentre cercavo disperatamente di sfuggire alla situazione angosciante.

La pioggia, sempre più intensa, martellava incessantemente il mio corpo, bagnando ogni centimetro della mia pelle e rendendo scivoloso il selciato sotto i miei piedi incerti. Le case sembravano allontanarsi rapidamente mentre cercavo di distanziarmi dalle figure agitate e dall'atmosfera cupa che avvolgeva il villaggio.

Era come se il mondo intorno a me si fosse trasformato in un vortice di paura e disperazione, mentre io mi dibattevo nel tentativo di sfuggire alla sua presa inesorabile. Le lacrime mescolate alla pioggia rendevano tutto ancora più confuso e sfocato, mentre l'umidità penetrava le mie ossa e l'angoscia stringeva il mio cuore con una presa sempre più forte. Il suolo bagnato era troppo scivoloso, scivolai bruscamente e mi ritrovai col volto rivolto verso il cielo. Con un gemito di dolore, sentii come se il cielo stesso piangesse la mia sventura. 

Mi alzai rapidamente, fortunatamente non avevo subito grossi danni da quella caduta, solo qualche graffio. Dinanzi a me notai una chiesa scarna e piccola, mi avvicinai ad essa per cercare un rifugio, in quanto lo spavento, la nebbia e la pioggia violenta non mi permettevano di trovare la giusta via per il castello. 
Mi avvicinai a quel luogo sacro, in cerca di speranza e accoglienza, ma notai un particolare che mi fece gelare il sangue. Il mio nome era scritto su quel muro. Il mio sguardo rimase incollato alle parole scritte, come se cercassi di decifrare un antico codice segreto.


"Gabriel Smith, pianista di corte, deceduto all'età di 25 anni"... le parole danzavano nella mia mente come spettri del passato, sussurrando di un destino che sembrava essersi già compiuto. Ogni lettera, ogni parola, era come un pugno nello stomaco, riportandomi a una realtà che non riuscivo a comprendere. L'atmosfera intorno a me sembrava mutare, trasformando la chiesa scarna e desolata in un palcoscenico di tragedia. La pioggia che cadeva incessantemente sembrava piangere per la mia presunta morte, mentre il vento sussurrava segreti antichi tra le mura di pietra. Ero come un attore in una pièce teatrale, incapace di distinguere tra realtà e finzione, intrappolato in un labirinto di ricordi distorti e verità celate. Il mio nome, inciso su quel manifesto funebre, mi portò un forte dolore allo stomaco. Mi appoggiai al muro, iniziai a piangere prima silenziosamente, poi singhiozzai, urlai e piano piano mi accasciavo al suolo. Chi ero io? un fantasma? Gabriel Smith era morto. Io ero morto. Era ciò che riportava quell'annuncio triste, era quello che pensava il villaggio.
Eppure non conoscevo con chiarezza il mio passato, non sapevo come mi ero ritrovato lì, non sapevo neanche se fossi davvero un pianista. Non sapevo più niente di me, da quel giorno maledetto in cui mi risvegliai sanguinante sulla neve.

I miei singhiozzi erano sempre più disperati, i miei polmoni quasi esplodevano a causa delle mie urla. Piano piano la mia voce mi abbandonava. Chi era Gabriel Smith, se non ero io, era forse per davvero un fantasma?


A MELANCHOLIC MELODYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora