Capitolo 3: Incontri Silenziosi

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Ivy si sistemò sulla poltrona nella sala d'aspetto del centro di psicologia, cercando di non fare caso al battito accelerato del suo cuore. Era il suo primo appuntamento con la dottoressa Mezzani, e sebbene avesse preso la decisione con determinazione, una parte di lei era ancora scossa. Ogni incontro terapeutico le sembrava un passo gigantesco, un passo che le costava una fatica enorme.

Le sedie erano disposte in cerchio, con una luce soffusa che dava all'ambiente un'atmosfera intima, quasi ovattata. Non c'erano rumori provenienti dalla stanza accanto, ma Ivy poteva immaginare il suono sommesso delle conversazioni tra pazienti e terapeuti, come se tutto fosse avvolto in una bolla di silenzio protetto. D'un tratto, la porta si aprì, e un uomo entrò nella sala. Si fermò pochi passi dentro la stanza, ma non sembrava essersi accorto della sua presenza. Ivy lo guardò di sfuggita, per un attimo, e lo riconobbe: Ryan.

No, non era Ryan, ma la somiglianza la colpì. L'uomo aveva i capelli castani, un po' disordinati, e portava un abito semplice, scuro. Era visibilmente teso, come se fosse lì contro la sua volontà. La sua espressione era assorta, quasi distante. Ivy abbassò velocemente lo sguardo, sentendo una strana sensazione di connessione che non riusciva a spiegare.

"Non è possibile...", pensò, mentre cercava di mantenere il controllo. Quella figura sembrava evocare in lei emozioni che non aveva previsto: una sensazione di tristezza mista a una strana riconoscenza per quel volto che aveva appena intravisto. "Come se anche lui stesse combattendo la stessa battaglia," rifletté, senza volerci pensare troppo.

L'uomo si sedette a pochi passi da lei, ma non disse nulla. Ivy rimase in silenzio, concentrandosi sul suo respiro, cercando di non cedere alla voglia di fissarlo. Le mani erano sudate, eppure non riusciva a staccare gli occhi da quel viso. La stanza d'attesa sembrava improvvisamente più piccola, quasi claustrofobica, mentre lei sentiva il peso di quei minuti passare lentamente. Non c'era nessuna parola, solo la presenza silenziosa di entrambi, che sembrava pesare più delle conversazioni possibili.

La porta dello studio si aprì di nuovo, e un'altra persona uscì, salutando l'uomo prima di andarsene. La porta si richiuse delicatamente, lasciando la sala di nuovo in silenzio. Ivy e l'uomo si scambiarono un breve sguardo, ma nessuno dei due parlò. Non c'era bisogno di parole, come se entrambe le anime presenti nell'ufficio sapessero esattamente cosa stesse accadendo. Il silenzio sembrava essere l'unica lingua che entrambi potessero parlare in quel momento.

Ivy non poté fare a meno di notare i piccoli dettagli: la maniera in cui l'uomo si stringeva le mani nervosamente, il modo in cui, a tratti, guardava l'orologio come se stesse aspettando qualcosa che non sapeva definire. Anche lei si sentiva ugualmente ansiosa, ma aveva imparato ad accettare che, a volte, il silenzio parlava più di mille parole. Non c'era bisogno di domande, di risposte, di spiegazioni. Entrambi erano lì per lo stesso motivo.

Un piccolo suono provenne dal suo telefono. Ivy lo guardò distrattamente, leggendo il messaggio da sua zia che le chiedeva come stesse. Il battito del cuore di Ivy accelerò, ma non rispose subito. Era difficile distrarsi da quella situazione che si stava evolvendo in modo tanto silenzioso quanto potente. Si sentiva più vulnerabile di quanto non avesse mai voluto ammettere, ma c'era anche una piccola parte di sé che trovava conforto in quella presenza. La sua mente vagò a quello che avrebbe dovuto fare, a come si sarebbe sentita al termine di questa prima sessione.

Nel frattempo, l'uomo venne chiamato da una psicologa, si alzò, esitando per un momento, e si diresse verso la porta dello studio. Quando passò vicino a lei, le sue mani si sfiorarono per un attimo, come un contatto fugace. Ivy sussultò, ma cercò di mantenere il controllo, ignorando quel brivido che le attraversò la pelle. Si girò, fissando l'orologio, come se fosse l'unica cosa che potesse davvero concentrarla.

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