Capitolo 27: Il Confronto

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Il giorno che Evan aveva tanto temuto era arrivato. Aveva deciso di sedersi al bar nel quale era entrato per la prima volta decidendo di prendersi tempo per sé stesso, come per segnare un punto nella sua vita. Sentiva il battito accelerato mentre digitava il numero di Alessandra sul suo telefono. Il gesto, semplice e diretto, sembrava quasi surreale, come se avesse aspettato quel momento per tutta la vita, e ora che finalmente stava per avverarsi, un misto di emozioni lo travolse: paura, rabbia, ma anche un sottile senso di libertà.

Le sue mani tremavano leggermente, ma si costrinse a non pensarci troppo. Quando il telefono squillò, il suono sembrò riecheggiare nell'aria. Alessandra rispose al terzo squillo, e lui sentì la sua voce, quella che per tanto tempo gli aveva fatto credere di non poter fare a meno di lei.

"Evan? Perché mi stai chiamando?" chiese con tono seccato, come se non fosse affatto sorpresa dalla sua chiamata.

Evan si fermò un momento, prendendo fiato. Si sentiva strano, quasi come se stesse giocando un ruolo che non aveva mai interpretato prima. Ma si fece forza, ricordando la determinazione che aveva acquisito negli ultimi giorni, con il supporto di Dominic, con il percorso che stava facendo con lo psicologo, con la consapevolezza che era ora di liberarsi da tutto ciò che Alessandra rappresentava.

"Alessandra," cominciò con calma, cercando di non farsi sopraffare dalla rabbia che sentiva crescere dentro di sé, "vorrei parlarti, ci possiamo incontrare oggi pomeriggio? Ho bisogno che tu ascolti. Non ti sto chiamando per chiederti di tornare con me, o per implorarti di darmi una seconda possibilità. Non è più così."

Ci fu un breve silenzio dall'altra parte della linea. Evan poteva quasi immaginare la sua espressione di sorpresa, come se non riuscisse a capire cosa stesse succedendo. "Cosa stai cercando di dirmi, Evan?" rispose, un po' più dubbiosa. "Non hai bisogno di fare scenate, se è quello che pensi di fare."

Le parole di Alessandra non fecero altro che aumentare la sua determinazione. "Quello che sto cercando di dirti, Alessandra," disse, facendo una pausa, "è che vorrei parlarti del tuo comportamento nei miei confronti"

Al telefono, c'era un silenzio che lo fece sentire stranamente vuoto per un attimo. Alessandra sembrava non credere alle sue parole. Poi, con un tono che cercava di mascherare l'incredulità, rispose: "Stai dicendo che non valgo niente? Che ho sbagliato in tutto? Non mi puoi dire queste cose, Evan. Ti ho solo amato, ti ho fatto sentire speciale."

Evan sorrise amaro, ricordando quante volte quelle stesse parole gli erano state rivolte, quanto l'aveva fatto sentire come se fosse incapace di vivere senza di lei. "No, Alessandra," rispose lentamente, "mi hai manipolato. Mi hai fatto credere che non potessi fare nulla senza il tuo permesso, senza il tuo controllo. Mi hai fatto sentire come se non fossi mai abbastanza, come se dovessi chiedere il tuo permesso per ogni passo che facevo. Ma ora lo capisco. Ora capisco che il problema non ero io, ma il modo in cui mi trattavi. E ti assicuro che non ho bisogno di te per sentirmi valido."

Dall'altra parte del telefono, Alessandra non rispose subito. Poi, con una risata nervosa, cercò di difendersi. "Stai esagerando, Evan. Io ti amavo. E tu cosa stai facendo? Mi stai accusando di cose che non sono vere, per poi venirmi a cercare come se nulla fosse."

"Non ti sto cercando, Alessandra," ribatté Evan, il tono fermo. "Sto solo mettendo fine a una relazione che non è mai stata sana. Io sono diverso ora, non sono più quello che ero quando stavo con te. E te lo dico, con tutto il rispetto che mi resta: non voglio più averti nella mia vita."

La linea diventò silenziosa. Alessandra non sapeva come rispondere. Probabilmente non l'aveva mai visto così, così forte, così determinato.

Nel frattempo, proprio mentre la tensione stava crescendo, Evan udì delle voci in sottofondo. Non poteva ignorarle. Alzò lo sguardo e vide Alessandra che, con le sue amiche, lo stava fissando da una panchina fuori dal bar, proprio davanti a lui. Le amiche si erano accorte della sua presenza e ora lo guardavano divertite, sghignazzando.

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