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Non riesco ad aprire gli occhi...
Le palpebre sono pesanti...
Vorrei, ma non ce la faccio...
Mah! Forse devo ancora dormire...

Con uno sforzo enorme, riesco ad aprire gli occhi. Sono stravolta. Mi guardo attorno.
Sono in una stanza in penombra, distesa su un letto. Alto. Troppo alto. Oh, no... È una barella! Ma cosa è successo? Ahi, la testa.
Mi tocco il punto che mi duole e sento che sono bendata. Assurdo. Sono in ospedale. Mi viene da piangere e non riesco a frenare un piccolo gemito...

La porta si apre piano e il viso di Mary fa capolino. È preoccupata, ce l'ha scritto a lettere cubitali in faccia. «Finalmente, ti sei svegliata.» Prende l'unica sedia presente nella stanza e si mette vicina a me. «Come ti senti?»
La sua voce mi arriva come un sussurro di vento, un po' nasale, forse ha pianto.

«Non lo so.» Deglutisco a fatica per la gola secca e con un saporaccio. «Cosa mi è successo?»

«Non ricordi nulla?»

Ci penso un attimo. «Stavo agli Uffizi a guardare l'opera del Botticelli... poi mi sono sentita improvvisamente male e...»

«Sì, mi hanno detto che sei svenuta e la sicurezza del museo ha chiamato il 118 perché nel cadere ti sei portata dietro il palo delle transenne che ti ha fatto quel taglio.»

«Mhmm...»

Mi prende una mano e dice con voce incrinata. «Ci hai fatto preoccupare parecchio. Quando all'appuntamento non ti ho vista, ho aspettato per mezz'ora, poi ti ho chiamata una decina di volte... Siamo andati al museo e ci hanno detto che avevano portato via una ragazza perché era svenuta nella sala Botticelli. Diego ha fatto il diavolo a quattro per arrivare in ospedale il prima possibile... Non so quante multe avrà preso.»

Riesco a stiracchiare la bocca in un sorrisetto stentato. Il ragazzo è lodevole oltre che un super figo.

«Ma ora dov'è?»

«Fuori...»

La porta si apre ed entra un medico seguito da un'infermiera, un uomo di mezza età con gli occhiali quadrati sul naso adunco.
«Bene. Vedo che si è svegliata.»

Mi si avvicina per sentirmi il battito cardiaco con lo stetoscopio che ha appoggiato intorno al collo. «Il battito è regolare.»
Mi osserva nuovamente con molta scrupolosità negli occhi e io trattengo il respiro.

I medici mi hanno sempre messo una certa soggezione fin da piccola, non sai mai quello che stanno pensando nella loro mente e tu stai lì ad aspettare il responso, pregando che sia buono. Tuttavia, quest'uomo ha l'aria di essere molto paterno. Ma Mary, a differenza mia, non sa aspettare; lei è per natura ansiosa.
«Dottore, perché è svenuta, forse una carenza di zuccheri?»

L'uomo continua a fissarmi dai suoi occhi azzurro chiari, sembra quasi che sia divertito. «No, non penso. Vorrei sapere piuttosto da lei, signorina, se è la prima volta che le capita di svenire in questo modo o le è successo altre volte.»

«No, non mi è mai capitato prima d'ora. Qualche volta ho dei giramenti di testa...»

Mary mi guarda corrugando la fronte.

Il dottore prende un bel respiro e mi chiede: «È una appassionata di arte?»

Io annuisco ma rimango un po' basita per quella domanda che suona fuori luogo.

«Lo immaginavo. Questi giramenti, quando li avverte mentre osserva i dipinti, le opere?»

«Mhmm ... Beh, ora che ci penso sì.»

Il dottore acconsente con la testa poi si gira verso l'infermiera che è rimasta in disparte al suo fianco e dice: «Voglio che faccia un colloquio con la dottoressa Sabatini.»

«Chi è la dottoressa Sabatini?»Chiedo curiosa.

«La nostra psicologa.»

Un no piagnucoloso mi lascio scappare dalle labbra. Se i medici in generale mi mettono nervosismo, gli psicologi sono il mio spauracchio. Voglio andarmene alla svelta e così, per non sentire oltre, trovo la forza di mettermi seduta.

«Dottore, per quanto devo rimanere qui? Ora mi sento bene.»

Lui mi guarda un po' perplesso mentre Mary, che mi capisce con un solo sguardo, prende le mie difese.
«È vero, ha ripreso colore in viso.»

«In effetti, fisicamente sta bene... il taglio in testa è superficiale e guarirà in pochi giorni, ma non è questo a impensierirmi.»

Fa una piccola pausa durante la quale prende a massaggiarsi il mento.

«La prego, non ha senso che io rimanga. Devo tornare a casa, a Siena.»
E senza indugio scendo dalla lettiga e muovo un po' le gambe per metterle alla prova.

«Va bene, la faccio dimettere... Tuttavia, le raccomando l'incontro con la psicologa. È importante.»

«Così mi mette pensiero dottore... Perché cosa c'è che non va in me?»

«Deve accertarsi di non soffrire della Sindrome di Stendhal.»

Sento Mary irrigidirsi al mio fianco. Mi tiene la mano.
«La sindrome di...?»

«Stendhal. Molte persone, soprattutto turisti, vengono in ospedale con gli stessi suoi sintomi dopo essere stati agli Uffizi e tutti soffrono di questa particolare sindrome.»

Ora mi sento veramente agitata.
«Ma è curabile?»

Il dottore mi fissa per qualche istante pensieroso. «Non si sa molto su questa patologia, ma la si può controllare con alcuni accorgimenti, come il riposo e la totale lontananza dall'arte.»

Ho capito bene?! Mi passo una mano sul viso. Sono scioccata. Mary mi fa una carezza sulla schiena.

«Non si agiti, Giulia. Pensi solo a guarire.» Mi dice il medico con un tono troppo calmo che riesce solo a farmi incazzare ancora di più. È inaudito che io possa prendere in considerazione i suoi consigli. Perché di questo si tratta, nulla più!

«Cosa?!» Grido senza preoccuparmi che mi sentano fino alla reception. «Si rende conto di cosa dice? L'arte è il mio futuro!»

«Signorina si calmi», mi ripete il dottore senza scomporsi. «Mi dispiace, ma questo è l'unico modo per arginare la sindrome.»

Mary mi mette un braccio sulle spalle per farmi capire che non sono sola in quella assurda faccenda.

«No, no, nooo!» Mi lamento scuotendo la testa. Le prime lacrime mi bagnano le guance e non riesco a frenarle. Il nervosismo che sento aumentare smisuratamente in me mi sta divorando. Mi tremano persino le mani.

«A volte si è obbligati a fare dei cambiamenti nella vita per la propria salute, ma non per questo è la fine del mondo...»

Io continuo a piangere in silenzio, cercando di mantenere una briciola di dignità, con gli occhi a terra e Mary che mi stringe forte a sé.
«Lei non capisce.» Sono le uniche parole che riesco a pronunciare tra un singhiozzo e l'altro.

«Posso prescriverle dei tranquillanti, ma sono palliativi da assumere con parsimonia. Di certo, il problema si ripresenterà se lei continuerà per questa strada.»

«Grazie, dottore.» Risponde Mary al mio posto.

Lui asserisce mesto e ci fa segno con una mano di seguirlo fuori dalla stanza per adempiere alle formalità di rilascio. Quando apriamo la porta, Diego è là, appoggiato al muro di fronte che ci aspetta con una certa irrequietezza nello sguardo.
Se potessi, mi scaverei una fossa con le mie mani per non farmi vedere in questo stato disastroso. Così, opto per un silenzio stampa e gli passo accanto con la testa bassa in modo che la frangia mi nasconda gran parte del viso stravolto dalle lacrime...

Il Gioco del Male Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora