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Troppo nervosa per dormire, mi siedo alla finestra della mia camera e osservo la luce della luna piena riflettersi sui tegoli dei tetti, inargentando terrazze e balconcini.

Cerco di immaginare me stessa bambina, incantata a guardarla. In qualche modo, rievocare quel passato lontano mi sembra meno doloroso che ripensare agli eventi accaduti solo poche ore fa.

All'improvviso, sento il bisogno di scrivere. Di mettere nero su bianco tutto quello che mi è successo da quando ho smesso di fissarla. Non sono passati poi così tanti anni, sono ancora giovane. Eppure, in quel tempo, sono successe tante cose: ho perso buona parte della mia ingenuità e spensieratezza.
Cosa mi sia accaduto davvero, non lo so. O forse sì. Forse l'ho sempre saputo. Ma adesso mi rendo conto che non è giusto dare sempre la colpa agli altri per le nostre mancanze, i nostri fallimenti.

Non credo nel destino, ma solo in ciò che io riesco a fare giorno dopo giorno. Forse questa mia ricerca del passato è una scusa per erigere barriere contro il presente. Oppure, è solo un modo per comprendere meglio e vedere le cose in prospettiva.

Quando sono arrivata qui a Siena due anni fa, ero da poco uscita dall'infelice situazione con il babbo depresso, e la voglia di voltare pagina ululava in me allo stesso modo di un lupo verso la luna.

Avevo bisogno di ricominciare, di riscrivere la mia vita, la mia identità, e sono convinta di aver compiuto passi da gigante, anche se ora...
Le parole di quel dottore mi tornano prepotenti nella mente.
Una sensazione di disagio mi fa agitare e alzare da dove mi trovo.

Faccio qualche passo per la camera, iniziando a spogliarmi, lasciando cadere a terra ogni indumento. Poi mi chiudo in bagno e per qualche secondo mi fisso allo specchio.

Detesto gli specchi... Ma da quando? E perché? Non odio la mia immagine, anzi... forse perché mi sembra che loro sappiano guardare fino in fondo. Conoscono le mie paure e mi mettono davanti alla realtà.

Risento il peso di trovarmi di nuovo sotto un treno, e la ragazza sconvolta che vedo riflessa conferma questa sensazione. Avevo sperato di non doverla più incontrare.

Chiudo gli occhi ed inspiro, trattenendo l'aria e le lacrime. Le mani si aggrappano al lavandino come se fosse l'ultima salvezza prima di lasciarsi sommergere. No, mi dico come una maestra della menzogna, non c'è nessuna sindrome, nessuna malattia. Sto bene! Voglio crederci. Sono solo stanca.

Gli occhi mi bruciano per il pianto, così li rinfresco con l'acqua fredda, mi lavo i denti e esco di là.

Raggiungo il letto e prendo la mia posizione preferita su un fianco. Chiudo gli occhi e cerco di non pensare a nulla, addormentandomi presto.

Dormo un sonno agitato per metà della notte, voltandomi e dibattendomi, intrappolata nel mio regno onirico strampalato...
Sono ad un ballo, in una grande sala addobbata a festa come nelle migliori prospettive...
Intorno a me una moltitudine di persone ridenti e loquaci, con cui mi rapporto con estrema semplicità.

Osservo e noto numerose, enormi teste di cavalli in bronzo, sparse per tutta la sala.
Mi muovo tra di esse, sfiorandole con la mano, felice di trovarmi in quel luogo in compagnia di persone che sono certa di conoscere...

Il sonno inquieto diventa più opprimente quando, al centro della sala, appare un uomo elegantemente vestito di nero. Il suo viso, un'opera d'arte, è incorniciato da capelli corti, scuri e mossi, scompigliati con un'eleganza selvaggia che non posso fare a meno di approvare. I suoi occhi, neri come l'ebano, si accordano all'ombra di una barba di pochi giorni che sottolinea l'ovale dai lineamenti decisi, conferendogli un fascino virile e irresistibile.

Si avvicina con un sorriso caldo, vibrante, che mi provoca un'emozione trepidante e inaspettata.

In un istante, la sua mano si tende verso di me, invitandomi a ballare. Accetto con un sorriso e mi lascio trascinare in un valzer senza tempo che riempie l'intera sala.

Tutti scompaiono.

Siamo solo noi due, danzando in silenzio. Ci fissiamo negli occhi, e una sensazione di profonda familiarità mi avvolge. Ma c'è qualcosa che mi sfugge, un dettaglio che non riesco a cogliere. Alla fine, non posso fare a meno di chiedere: «Chi siete?»

Lui ride, una risata melodiosa, e alza lo sguardo verso il soffitto. Quando i suoi occhi tornano su di me, sussurra, con un tono malizioso: «Tu sai chi sono.»

In quell'istante, tutto cambia.

Un brivido di paura mi attraversa la schiena. Prima ancora che la mia mente comprenda il pericolo, mi stacco bruscamente da lui e scappo, cercando rifugio nella notte.

Il Gioco del Male Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora