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Dopo aver firmato alcuni fogli che un'infermiera scorbutica mi spinge sotto il naso, esco dall'ospedale senza neanche sapere che ore siano.
Mary mi tiene ancora stretta per le spalle, come fa se fossi un cucciolo smarrito e impaurito trovato sul bordo della strada. So che, se potesse, mi prenderebbe in braccio. Ah, Mary, sei davvero unica!

Ci incamminiamo verso il parcheggio e, anche senza voltarmi, sento la presenza silenziosa di Diego dietro di noi.
Salgo in macchina e, una volta partiti, mi afferro la testa fra le mani. Sono disperata, emotivamente distrutta. Sento la pulsazione costante del taglio medicato e non ho alcuna voglia di dire una parola.

Sto lì, rannicchiata con le gambe al petto e la fronte appoggiata sulle ginocchia, rimuginando sulle parole del dottore. Non voglio credere di essere malata, di avere quella assurda sindrome! E se si fosse sbagliato? Un piccolo malore può capitare a chiunque in un periodo di forte stress, no? Eppure, sembrava così sicuro di sé...
Una sindrome che ti fa sentire male davanti alle opere d'arte. Mi sembra una cazzata colossale.

Continuo così, a sfracellarmi il cervello per tutto il viaggio di ritorno. Quando Diego ferma la macchina alla stazione dei pullman di Siena, è quasi mezzanotte.

Scendo più impacciata del solito e noto che Mary sta dormendo, la testa reclinata all'indietro e le labbra leggermente dischiuse.
Povera, mi fa tenerezza. A volte vorrei non essere me, nel senso che vorrei non farla preoccupare con i miei problemi. Non se lo merita...

Anche Diego, inaspettatamente, scende dalla macchina. Si avvicina lentamente, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans.

C'è silenzio.
Molto.
Forse troppo.

Si ferma davanti a me e mi scruta con un'espressione indecifrabile. Nel suo sguardo scuro c'è qualcosa che mi confonde, tanto che abbasso immediatamente gli occhi a terra.
Vorrei mettere distanza tra noi, ma quando provo a fare un passo indietro, sento la sua mano che mi blocca il braccio.

«Scusami, Giulia, è colpa mia. Se Mary fosse venuta con te agli Uffizi...»

«Cosa?!»
Alzo lo sguardo di scatto per scrutare il suo viso. È serio, e la luce del lampione sopra di noi evidenzia la linea dura della sua mascella.

«No, Diego. Non dire così. Non pensarlo nemmeno...tu non...»

«Shhh...»
Diego scuote la testa e mi zittisce appoggiandomi l'indice sulle labbra. Quel piccolo gesto basta per farmi prendere fuoco il viso.

Perché mi fissa così... così intensamente? È come se mi stesse dando una possibilità di decidere qualcosa, ma in questo momento non ne sono capace. Sono completamente imbambolata. Ooooh...

Poi sento le sue labbra sfiorare le mie. Il trambusto nella mia testa esplode, e il cuore mi erompe talmente violento nel petto da arrivare fino in gola.

Resto pietrificata.

Ma una minuscola parte di me, ancora lucida, trova la forza di reagire. Lo spingo via e scappo nella notte, veloce come il vento.

Il Gioco del Male Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora