7 - Skinny love

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Un sottile filo di luce filtrò attraverso le tende, raggiungendo i miei occhi ancora pesanti di sonno. Mi coprii il viso con una mano, mugugnando qualcosa di incomprensibile, e con fatica aprii un occhio. La mia vista, annebbiata, si fermò su una parete azzurra, coperta da poster. Tra tutti, spiccava quello dei Green Day, ero decisamente nella stanza di Ilan.

Voltandomi sulla destra, lo vidi accanto a me, seduto sul bordo del letto con il cellulare in mano. Quando percepì i miei movimenti, si girò verso di me, scrutandomi con uno sguardo tra il seccato e il divertito.
"Finalmente," borbottò, alzandosi in piedi con un gesto lento.

Cercai di orientarmi, massaggiandomi le tempie, ma non appena provai a tirarmi su, una fitta acuta mi attraversò la testa, costringendomi a lamentarmi sottovoce.
"Che ci faccio qui?" chiesi, la voce mi uscì roca e impastata.

Lui rise, scuotendo la testa come se la mia domanda fosse la cosa più assurda che avesse mai sentito.
"Non ricordi nulla?" ribatté, alzando un sopracciglio e indicando la scrivania con un cenno del capo.

Seguii il suo sguardo e notai un bicchiere di latte accanto a una manciata di biscotti con gocce di cioccolato. Erano leggermente irregolari, dovevano essere stati fatti a mano. Un dolce aroma riempiva l'aria, stuzzicando i miei sensi ancora confusi.

Scossi la testa, incapace di mettere a fuoco i ricordi, e mi alzai barcollando verso la scrivania, attirata da quel profumo invitante.
"Grazie," mormorai piano, senza essere sicura di cosa stessi ringraziando. Era un gesto istintivo, ma sentivo che in quel momento era necessario.

Ilan fece spallucce, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di me. "Non è opera mia," disse, con un tono ambiguo che mi lasciò perplessa. Non capii se si riferisse ai biscotti o al fatto che fossi lì, nella sua stanza.

Mentre portavo un biscotto alle labbra, i ricordi della sera precedente iniziarono lentamente a riaffiorare, ma erano così frammentati che decisi di ignorarli per il momento. Il sapore del biscotto mi diede un sollievo immediato e così ne mangiai un altro, sotto lo sguardo attento di mio fratello.

Dopo aver ripreso a far funzionare i miei organi mi infilai le scarpe e raccattai tutte le mie cose, "Torno al campus, è tardissimo." Avevo bisogno di una doccia, forse due docce, e di rendermi presentabile.

"Ti accompagno, andiamo." Ilan aprì la porta e uscì, costringendomi a seguirlo lungo le scale di casa sua. I suoi passi risuonavano ritmici sul legno, mentre io arrancavo dietro di lui, con le gambe che tremavano. Fuori, l'aria fresca del mattino mi colpì come uno schiaffo, e ci infilammo nella sua macchina senza scambiare una parola.

Il tragitto verso il campus si consumò in silenzio. Non avevo la forza di rompere quel muro di quiete e, a quanto pare, nemmeno lui. Quel silenzio mi stava facendo stare meglio. Quando arrivammo, scendemmo dall'auto e ci incamminammo lungo i corridoi, più vuoti del solito, probabilmente perché era il fine settimane. Mi limitai a seguire Ilan per tutto il tragitto senza spiccicare parola. Ero stanca e il mio cervello in quel momento non riusciva a connettere due neuroni per far uscire una frase di senso compiuto.

Svoltando l'angolo, il corridoio familiare della mia stanza si aprì davanti a noi. Ma i miei piedi si bloccarono di colpo, senza che la mente avesse ancora elaborato ciò che stavo vedendo. La mia porta era spalancata.

Sull'uscio c'era Naomi, con un'espressione preoccupata. Dietro di lei, Alex le teneva una mano sulle spalle. Ma fu la figura davanti a loro a congelarmi il respiro.

Non appena la mia presenza fu registrata, quella persona si voltò verso di noi. Un sorriso a trentadue denti, tanto ampio da risultare inquietante, illuminò il suo volto. I capelli neri e ricci gli cadevano sugli occhi, ma non c'era dubbio su chi fosse. Indossava una felpa rossa che conoscevo fin troppo bene. Gliel'avevo regalata io, anni prima, per Natale.

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