anima rotta

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Stavo finendo il mio secondo cocktail quando una voce familiare, sorniona e irritante, arrivò da dietro di me.

«Non ti stai divertendo abbastanza, straniera.»

Mi voltai di scatto, e ovviamente c'era lui. Jlenk. Mani infilate nelle tasche, quell'aria rilassata che sapeva farmi uscire dai gangheri, e uno sguardo che sembrava sempre sapere più di quanto dicesse.

«Non ti sembra di avere cose più interessanti da fare?» risposi fredda, sollevando il bicchiere per un altro sorso.

«Le ho. Ma tu eri così sola e annoiata che mi sembrava il minimo farti compagnia.» Si avvicinò, appoggiandosi al bancone accanto a me. Troppo vicino, ma non abbastanza da poterlo accusare di qualcosa.

Lo fissai, serrando la mascella. «Chi ti ha detto che sono sola? E soprattutto, chi ti ha chiesto qualcosa?»

Lui sorrise, un sorriso lento e irritante, come se fosse immune a qualsiasi cosa gli dicessi. «Non devi chiedere, Amelie. È evidente. Sei qui a bere, cercando di sembrare disinteressata, ma in realtà stai aspettando qualcuno.»

«E tu? Non dovresti essere con la tua nuova amica?» chiesi, alzando un sopracciglio.

Lui rise piano, inclinando la testa. «Gelosa?»

Ecco, lo sapevo che avrebbe tirato fuori quella parola. Era il suo modo preferito per farmi perdere la pazienza.

«Gelosa di te? Non farmi ridere,» risposi, incrociando le braccia e fissandolo con aria di sfida.

«Strano,» disse lui, piegandosi leggermente verso di me. Il suo profumo, misto al leggero odore di mare, mi colpì più di quanto avrei voluto. «Perché sembri tutto tranne che indifferente.»

Lo guardai negli occhi, quegli occhi che avevano sempre qualcosa di maledettamente ipnotico. Per un attimo, troppo breve per essere reale, sentii il battito accelerare. Ma non gli avrei mai dato quella soddisfazione.

«Sai una cosa, Jlenk? Vai a farti fottere.»

Sorrise, come se fosse esattamente la risposta che si aspettava. «Con piacere, straniera, andrò proprio dalla ragazza di prima.»

Gli voltai le spalle, ordinando un altro cocktail. O meglio, tre. Uno dietro l'altro. Il sapore bruciava in gola, ma l'alcol era l'unico antidoto a quella conversazione e a quella strana sensazione che mi lasciava addosso.

Con il sangue che già mi pulsava nelle orecchie, mi allontanai dal bancone e raggiunsi Sol, che nel frattempo si era arrampicata su un cubo improvvisato e ballava come se non ci fosse un domani.

«Amelie!» gridò, vedendomi arrivare. «Sali qui con me!»

Scossi la testa, ridendo, ma mi sentivo già più leggera, quasi euforica. La musica mi avvolgeva, e i pensieri confusi iniziavano a scivolare via, o almeno così speravo.

Poi lo sentii di nuovo. Il suo sguardo.

Non c'era bisogno di girarmi per sapere che lui non aveva mai smesso di guardarmi. Lo sapevo, lo sentivo. Mi girai comunque, e ovviamente, eccolo lì.

Era appoggiato al bancone, con un bicchiere in mano e gli occhi puntati dritti su di me. Non sorrideva più, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che mi faceva sentire... intrappolata. Come se fossi l'unica persona sulla spiaggia.

Alzai il bicchiere, sfidandolo con lo sguardo. Lui si limitò a inclinare il capo, come per dire: «Ti vedo. Ti capisco.»

Ma non era così. Non lo avrebbe mai fatto.

Lasciai che la musica mi trascinasse, alzando le braccia e lasciandomi perdere tra la folla. Jlenk poteva fissarmi quanto voleva. Non gli avrei mai permesso di vedermi davvero.

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