Verità

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La sera era arrivata troppo in fretta, e con essa la riunione. Mi trovavo lì, nel grande salone della scuola, con mio padre al mio fianco. La sua presenza era opprimente, e sentivo il suo sguardo su di me, un misto di controllo e aspettativa. Era impeccabile, come sempre: vestito in modo perfetto, il sorriso formale stampato sulle labbra, pronto a impressionare chiunque lo guardasse.

La stanza era piena di genitori, studenti e insegnanti, e ovunque mi girassi, sentivo gli sguardi puntati su di noi. Erano sussurri, commenti appena accennati, ma sufficienti per farmi sentire come se fossi sotto un riflettore. L'ansia mi stringeva il petto, rendendo difficile anche solo respirare.

Mio padre, invece, sembrava completamente a suo agio. Rispondeva ai saluti con il suo solito tono sicuro, stringeva mani e scambiava sorrisi come se fosse il protagonista di un film. Io, accanto a lui, ero solo un accessorio, un pezzo della sua immagine perfetta. Ogni volta che qualcuno si avvicinava per parlare, sentivo la sua mano sulla mia spalla, un gesto che agli altri poteva sembrare affettuoso, ma che per me era solo un promemoria: «Stai al tuo posto».

Il mio cuore batteva all'impazzata. Avrei voluto scappare, sparire, essere ovunque tranne che lì. Stavo per cedere a quel peso, quando il mio sguardo si posò su qualcosa, o meglio, su qualcuno.

Amelie.

Era lì, dall'altra parte della stanza. Sembrava un po' spaesata, ma c'era qualcosa nel suo viso, nella sua presenza, che mi trasmetteva una calma improvvisa. I suoi occhi vagavano tra la folla, come se stesse cercando qualcosa o qualcuno, e per un attimo sembrò che si fermassero su di me.

Non sapevo cosa fosse, ma bastò quel breve istante per farmi sentire meno solo. Come se, in mezzo a tutta quella confusione, ci fosse qualcuno che poteva capire, anche senza dire una parola. Non mi importava nemmeno il motivo per cui era lì o cosa stesse pensando. Era sufficiente sapere che c'era.

Mi raddrizzai un po', cercando di ignorare l'ansia che ancora mi mangiava dentro. Mio padre continuava a parlare con qualcuno, ma le sue parole erano diventate un rumore di fondo. Tutto quello che riuscivo a vedere era lei, e per la prima volta da quando ero entrato in quella stanza, il peso sul mio petto sembrava un po' più leggero.

Forse non ero così solo come pensavo.

Chiesi a mio padre il permesso di allontanarmi, giusto per qualche minuto. Volevo prendere un po' d'aria, o almeno avvicinarmi a lei. Lui mi guardò con quel suo sguardo critico, come se stesse valutando ogni mia mossa, ma alla fine annuì, con un gesto che sembrava più un ordine che un consenso.

Non persi tempo. Mi mossi verso Amelie, cercando di sembrare rilassato, anche se dentro di me c'era un tumulto. Lei mi vide arrivare, e per un momento sembrò sorpresa, quasi imbarazzata. Le sue mani giocherellavano con l'orlo del vestito, i suoi occhi sfuggivano ai miei, come se non sapesse cosa aspettarsi.

«Ehi,» dissi, cercando di rompere il ghiaccio con un tono più leggero possibile. «Non pensavo di trovarti qui.»

Lei sollevò lo sguardo, ma prima che potesse rispondermi, notai qualcosa cambiare nella sua espressione. La serenità che avevo visto prima svanì, sostituita da un'ombra di ansia. Seguì il mio sguardo, e capii subito cosa l'aveva turbata.

Dietro di me, mio padre si stava avvicinando. La sua figura alta e imponente dominava la stanza, e ogni passo che faceva sembrava risuonare come un avvertimento. Il suo volto era una maschera di autorità, ma nei suoi occhi c'era qualcosa di più: rabbia.

Sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla con forza. Non era un gesto affettuoso, ma un avvertimento chiaro, quasi minaccioso. La stretta era ferma, cattiva, e mi costrinse a voltarmi verso di lui.

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