Capitolo 1 ~ David

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Kam si svegliò. Sentiva una sostanza umida e appiccicosa colarle dal ventre e dalla testa. Aprì leggermente gli occhi, trovandosi sdraiata sul pavimento di una stanza. Si mise a sedere e si tastò la testa, emettendo un leggero gemito di dolore. I suoi capelli erano sporchi di un liquido appiccicoso, che macchiava anche i suoi vestiti. Ci mise poco ad accorgersi che era sangue. Si alzò la maglietta, e vide una grossa cicatrice all'altezza dello stomaco. Si guardò intorno, e si accorse di trovarsi nella stanza da letto dei genitori di Elizabeth. In quel momento le tornò in mente tutto quello che era successo, compreso quello che le aveva detto la voce. Si alzò, e vide sul letto i cadaveri dei genitori di Elizabeth, come li aveva visti prima di essere colpita da Homicidal Liu. Facevano molto ribrezzo, tanto che Kam dovette trattenere i conati di vomito. Chiuse gli occhi per non dover assistere a quella scena un'altra volta, e prese un gran respiro. Se ne pentì subito. L'odore di sangue e morte era talmente forte che la povera ragazza non resistette più e vomitò sul pavimento cosparso di cartellini che la polizia aveva sistemato intorno ai corpi. Era strano che gli agenti non avessero ancora deciso di portar via i cadaveri.
Decise di uscire dalla stanza, girando attorno alla pozza di vomito, e si allontanò dai cadaveri di quelli che erano diventati un po' i suoi secondi genitori. Poi si ricordò. Sua madre e suo padre. Era convinta che fossero preoccupatissimi e che stessero cercando di contattarla in qualche modo. Avrebbe dovuto tornare da loro, avvisarli, dirgli che stava bene. Passando davanti ad uno specchio, si rese conto che non avrebbe potuto tornare dai suoi genitori, che non l'avrebbero accettata, non avrebbero creduto alla sua storia, l'avrebbero presa per pazza... Scosse la testa. Dopotutto tra qualche mese sarebbe diventata maggiorenne. Avrebbe potuto vivere tranquillamente da sola, per quanto potessero mancarle i suoi genitori. Sospirò, poi uscì dalla casa della sua migliore amica Elizabeth, andando a cercarla, e ad iniziare una nuova vita. Chiuse la porta alle sue spalle ed iniziò a camminare per la via buia. Come avrebbe fatto a trovare Elizabeth? E anche se fosse riuscita a trovarla, adesso era una micidiale assassina a sangue freddo, come avrebbe fatto a riportarla sulla dritta via? Sospirò continuando a camminare.
Dopo alcuni minuti, o forse ore, Kam non li contava neanche più, un'auto accostò di fronte a lei. Il finestrino si abbassò, rivelando un ragazzo dal viso simpatico sorriderle.
«Ehm... ciao» disse lui, visibilmente in imbarazzo.
«Ciao. Cosa vuoi?» chiese sfacciatamente la ragazza, senza guardarlo negli occhi per non mostrargli le sue iridi color latte.
«Ehm... ti ho vista uscire da quella casa dove ieri è stato commesso un omicidio... Mi è sembrata una cosa strana... Sei sporca di sangue, pensavo fossi ferita. E poi... Sei una bella ragazza...» disse lui, passandosi una mano tra i folti capelli neri. Kam arrossì violentemente «Comunque, io sono David.» continuò.
«Io sono Kam. E devo andare.» rispose la ragazza, ricominciando a camminare.
«Ehi! Aspetta!» la chiamò David scendendo dall'auto «Se vuoi puoi venire a casa mia, solo per curarti le ferite... Se ne hai.» sorrise «Tranquilla, non sono un maniaco.»
«Ehm... va bene.» rispose Kam, sempre di spalle, poi salì in auto insieme a David. Non aveva più nulla da perdere, ormai.
«Allora...» iniziò il ragazzo al volante «Cosa ci facevi dentro quella casa?» chiese, quasi preoccupato. Kam si domandò il motivo del suo tono: non si conoscevano nemmeno.
«Era la casa della mia migliore amica.» rispose «Un killer ha ucciso i suoi genitori e presumo che lei adesso sia in cerca di vendetta. so com'è fatta, Elizabeth...»
«D'accordo... come mai i tuoi capelli sono di questo colore? Li hai tinti?» chiese lui.
Non sapeva cosa rispondere. Non poteva dirgli la verità: non lo conosceva e poi l'avrebbe presa per pazza.
«E tu fai sempre così tante domande?» David ridacchiò, scuotendo leggermente la testa «Comunque non lo so.» disse la ragazza prendendo una ciocca dei suoi capelli color verde menta e guardandola.
«Va bene.» rispose David.
Ci fu una lunga pausa. L?imbarazzo nell'aria era palpabile. Kam continuava a giocherellare con la ciocca di capelli, mentre guardava fuori dal finestrino. Gli unici rumori che si sentivano erano il rombo dei motori e la pioggia che aveva appena iniziato a cadere dal cielo.
Improvvisamente, David ruppe il silenzio «Come mai non mi guardi negli occhi?»
Kam sospirò. Non voleva mostrargli i suoi occhi, ma non voleva dirglielo. Alla fine di inventò una scusa abbastanza credibile: «Stai guidando, perché dovrei guardarti negli occhi?»
«Dico in generale.» disse David. Kam fece una smorfia di disapprovazione «Anche prima non mi guardavi negli occhi. I tuoi genitori non ti hanno insegnato che è cattiva educazione non guardare negli occhi una persona mentre parla?» chiese sarcastico.
Kam sbuffò, guardando le case che si spostavano dal suo campo visivo fuori dal finestrino.
«Perché vuoi vederli?»
«Perché voglio sapere se esistono degli occhi degni di una ragazza come te.»
Kam lo guardò stupita, distogliendo lo sguardo dal finestrino per la prima volta da quando erano partiti. Nessuno le aveva mai fatto dei complimenti del genere, il suo ragazzo Brandon non era tipo da lusinghe. Eppure, quello sconosciuto le aveva fatto il più bel complimento che avesse mai sentito.
«Grazie» disse in imbarazzo, con le guance roventi, tornando a guardare fuori dal finestrino come se fosse interessante.
«Di niente.» rispose lui, senza distogliere gli occhi dalla strada.
«Quando... Quando scenderemo ti guarderò negli occhi. Così sarai contento.»
vide con la coda nell'occhio un sorrisetto soddisfatto sul volto di David, e sorrise anche lei.

Arrivarono di fronte ad un palazzo molto alto, un condominio. David scese dall'auto seguito da Kam, poi entrarono nell'edificio. Il portinaio era un uomo basso e tarchiato, il collo quasi inesistente, ed indossava una cravatta blu ed un completo rosso bordeaux, in tinta con la parete dietro di lui. Aveva i capelli unticci ed un'evidente calvizie.
«Buongiorno Marrcus.» lo salutò David con un cenno del capo.
«Educato come sempre, eh David?» disse Marcus, ridacchiando. Poi i suoi occhietti neri si posarono su Kam, che osservava la sala in cui si trovava «Chi è questa ragazza?» chiese subito dopo.
«Ecco... lei è Kam, la mia nuova coinquilina. Kam, lui è Marcus, il portinaio.» rispose il ragazzo. Marcus la guardò indagatore, evidentemente per il suo aspetto, poi si rilassò sulla poltrona nera e disse: «Piacere.»
«Piacere mio, signore.» rispose educatamente Kam, poi seguì David lungo un corridoio che portava a delle scale a chiocciola. Salirono al quarto piano e si avvicinarono ad una porta nera. David la aprì con delle chiavi che aveva in tasca e lasciò entrare Kam.
«Benvenuta» disse, entrando dopo la ragazza «nella mia umile dimora.»
Kam si guardò intorno. Il soggiorno era unito alla cucina, ed aveva alcune porte che conducevano ad altre stanze. Era ben arredato, ed i mobili erano tutti colorati e sembravano non avere niente in comune l'uno con l'altro, ma che nel complesso avevano un bell'aspetto.
«Carina...» disse Kam, osservando ancora la stanza.
«Grazie.» disse David, per poi sedersi su un divano verde pistacchio «Hai detto che mi avresti mostrato i tuoi occhi.»
Kam si andò a sedere vicino al ragazzo, rassegnata, e lo guardò dritto negli occhi. Adesso erano uno di fronte all'altra, e si guardavano in silenzio. Da quando si erano incontrati lei non aveva neanche avuto modo di vedere i suoi occhi. Erano verde chiaro, con una sottile linea azzurra intorno. Lui sembrava non essere stupito degli occhi candidi di Kam, e nemmeno spaventato. Li guardava come avrebbe guardato un normale paio di occhi marroni.
«Forza.» disse ad un certo punto, alzandosi «Devo curarti le ferite.»
Si diresse verso una delle porte e Kam lo seguì. David la aprì ed entrò nel bagno, prese una scatoletta del pronto soccorso da uno sportellino e si sedette su una sedia. La ragazza si sedette di fronte a lui su un'altra sedia. Lui aprì la scatoletta e chiese: «Hai qualche ferita?» lei annuì e gli mostrò un taglio abbastanza profondo sull'avambraccio destro.
«Solo?» chiese, stupito «Sei appena uscita da una casa dove è stato commesso un duplice omicidio ed hai solo quel taglio?»
«Già. Avevo una ferita più profonda di questa, ma si è cicatrizzata da sola.» lui fece una faccia strana, poi iniziò a disinfettare la ferita sull'avambraccio di Kam.
«Perché i tuoi occhi sono bianchi?» chiese ad un tratto dopo una lunga pausa.
«Se te lo dicessi mi prenderesti per pazza.» rispose lei, abbassando la testa ed emettendo un gemito di dolore quando David versò dell'altro disinfettante sulla ferita.
«Ormai siamo tutti pazzi in questo mondo.» disse David, con un tono malinconico. Kam sospirò, poi raccontò tutto quello che aveva visto.
Lui alla fine del racconto annuì piano, senza dire niente. Sembrò pensare un attimo, poi disse: «Forse ho capito.»
Kam lo guardò stupita, e David se ne accorse, perché continuò: «Ho letto un libro, una volta. Parlava di angeli custodi o qualcosa del genere, e descriveva proprio quello che mi hai appena raccontato.» Kam annuì a testa bassa, poi sentì il ragazzo cambiare discorso.
«Se vuoi rimanere qui, fino a quando non vorrai andartene via, io dormirò sul divano.» disse David, continuando a disinfettare la ferita di Kam.
«Non so... se poi do fastidio...»
«Tutti con questa storia!» esclamò lui ridendo «Se mi avessi dato fastidio non te lo avrei chiesto!» rise di nuovo, seguito dalla ragazza.
«Va bene, se non disturbo...» disse lei prima di esclamare un "Ahi!" che fece ridere di gusto il ragazzo di fronte a lei.

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