Capitolo 4 ~ Foto

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Kam uscì di corsa dall'appartamento di David, che ormai era diventato anche il suo. Scese le scale e attraversò l'atrio, inciampando un paio di volte nel tappeto mal sistemato.
«Buona giornata Marcus!» urlò al portinaio seduto sulla sua solita poltrona mal sistemata.
«Ciao Kam! Buon lavoro!» rispose Marcus, con il suo solito tono allegro e paterno. Aveva preso in simpatia la ragazza dall'aspetto buffo, con i lunghi capelli verde acqua. Gli ricordava sua figlia.
Subito una valanga di ricordi travolse il portiere. Lui che guidava la macchina, un uomo che gli sbarra la strada, l'auto che sbanda e finisce fuori strada, i corpi di sua figlia e sua moglie tra le lamiere... Scosse la testa. Non poteva perdersi nei ricordi. Guardò la ragazza allontanarsi, poi sprofondò nella poltrona, come se potesse nascondersi, oppure scomparire da un momento all'altro, lasciando per sempre quel mondo martoriato e contorto.

Kam camminava sul marciapiede. Le sue scarpe sprofondavano nella neve candida che lo ricopriva, lasciandosi dietro una scia di impronte. Un vento gelido le fece accapponare la pelle delle mani. Sbuffò, creando una nuvoletta di vapore bianco. Strinse a se il cappotto, poi mise le mani prive di guanti nelle tasche, sperando di riscardarle. Si sentiva stranamente osservata e come se qualcuno la stesse seguendo. Non le piaceva affatto, quella sensazione. Continuava a girarsi e a guardare alle sue spalle, senza trovare mai nessuno.
Paranoica. Sei troppo paranoica, Kam.
Si disse. Stranamente, riuscì a tranquillizzarsi. Camminava, fischiettando una canzoncina improvvisata sul momento. In poco tempo, era arrivata al ristorante dove lavorava, due o tre locali non troppo grandi, arredati con mobili somiglianti a quelli dei ristoranti francesi, e delle eleganti tende scarlatte.
«Buongiorno Kam. Come sempre in ritardo, eh?» chiese un ragazzo-armadio, che camminava tra i tavoli come sempre affollatissimi del ristorante. Aveva le spalle molto larghe e i muscoli ben allenati. Sembrava un giocatore di rugby.
«Mi dispiace Joe.» rispose Kam, mentre metteva il suo cappotto su un appendiabiti.
«Non devi scusarti. È per te che lo diciamo, Kam.» le disse una ragazza mingherlina che correva come un fulmine tra i tavoli con tre piatti per braccio.
Il ragazzo-armadio, Joe, si mise di fronte a lei con le braccia incrociate. Aveva una faccia seria «Katy ha ragione»
«Non devi chiamarmi Katy!» lo interruppe la ragazza.
Joe sbuffò «Kathia ha ragione.» Kathia fece un verso soddisfatto «Il capo potrebbe licenziarti da un momento all'altro.»
«Non credo.» rispose Kam, che era andata a prendere le ordinazioni ad un tavolo e che adesso correva verso la cucina «Non dopo il discorsetto che gli ho fatto il primo giorno.»
Entrambi i camerieri risero, mentre Kam tornava ad un altro tavolo con il block-notes in mano.
Tutti nel ristorante sapevano del "discorso" di Kam. Era andata lì per fare un colloquio con il capo, che le era sembrato subito antipatico. Il suo curriculum non era molto ricco, quindi il proprietario del ristorante non sapeva se assumerla o no. Kam si presentò tutta in tiro, con le lenti a contatto marroni e i capelli legati in uno chignon.
«Non assumiamo ragazzi con i capelli tinti.» le disse subito, vedendo il colore stravagante di quelli di Kam.
«Vuol dire che farete un'eccezione.» aveva risposto la ragazza, testarda.
«Mi dispiace, ma deve andarsene. Non credo che avrà una bella impressione sui clienti. La assumeremo solo se muterà il suo colore di capelli in uno normale.» le aveva detto.
«Non vedo il bisogno di parlare in plurare, visto che lei è uno solo.» disse Kam «Io terrò questo colore di capelli, ma voglio il lavoro. Che facciamo?» era irremovibile.
Il proprietario aveva dovuto arrendersi, aveva notato che la ragazza non se ne sarebbe andata senza quel lavoro. Dopo quel giorno si era guadagnata la stima di tutti i dipendenti nel ristorante.

Un altro giorno di lavoro era passato. Kam aveva salutato Kathia e Joe ed era uscita di corsa, non voleva incontrare il capo, che aveva scoperto si chiamava Jonathan.
Camminava di nuovo sul marciapiede imbiancato dalla neve, solo che le sue impronte erano coperte da altre migliaia di diverse orme. Guardava tutte le suole delle scarpe rimaste sulla neve come stampe, e vedeva quanto erano diverse l'una dall'altra. Era una sera gelida e scura, con un forte vento freddo e una nebbiolina sottile e grigiastra. Nessuno girava per le strade. Kam continuò a camminare a testa bassa, fino a quando non andò a sbattere contro qualcuno che teneva dei fascicoli in mano, ma che all'impatto con la ragazza erano caduti a terra, sparpagliandosi sulla neve.
«Mi dispiace! Non guardavo dove andavo, lasci che la aiuti!» Kam si inginocchiò sulla neve per raccogliere le scartoffie, ma venne fermata dalla persona di fronte a lei.
«Lascia stare. Faccio da sola.» la ragazza si abbassò ed iniziò a raccogliere i fascicoli. Indossava una felpa blu scuro che gli copriva la testa. Dopo che ebbe finito, si alzò e guardò la ragazza negli occhi. Kam non riusciva a scorgerle il viso, era troppo buio. Dopo qualche secondo se ne andò, senza dire una parola. Kam si accorse che aveva lasciato un fascicolo sulla neve. Lo raccolse, e si voltò per ridarla alla ragazza, ma era già scomparsa nella nebbia.
Kam si voltò di nuovo verso il fascicolo, lo aprì e trovò un foglio. Lo prese, se lo rigirò un paio di volte nelle mani e si accorse che era una foto. Non riusciva a scorgerne i dettagli, così si mise sotto un lampione per osservarla meglio. Quello che vide le fece gelare il sangue nelle vene. Un ragazzo asiatico, poco più grande di lei, giaceva a terra. Il suo corpo era coperto di lividi e ferite insanguinate, che spiccavano sulla sua pelle chiara. La ferita più grande, quella che probabilmente era stata la causa della sua morte, era sulla gola. I suoi occhi a mandorla, di un blu scuro innaturale, erano spalancati, vuoti e del tutto privi di vita. I suoi capelli, dello stesso colore di quelli di Kam, erano leggermente sporchi di sangue. Accanto al ragazzo c'erano due ali candide, che probabilmente erano state strappate a forza dalla schiena del povero angelo. Sulla sua guancia destra c'era una scritta intagliata nella carne, da cui usciva un fiotto di sangue: "God - death 1". Intorno al corpo del ragazzo non c'erano nastri della polizia, e su di esso era proiettata un'ombra, che lasciava immaginare che il fotografo che aveva scattato quella macabra foto fosse anche l'assassino del povero ragazzo dall'anima pura. Quello era un angelo custode.
Rimase sbigottita qualche secondo, poi scosse la testa e chiuse do nuovo la foto nel fascicolo e lo nascose sotto il cappotto. Camminò svelta verso casa, guardinga, continuamente all'erta. Aveva tutti i sensi vigili, per percepire un qualsiasi movimento intorno a lei. Ad ogni rombo di auto, saltava dallo spavento. I suoi sensi si erano affinati da quando era divemtata un angelo. Continuò a camminare con le orecchie tese, fin quando non vide la sagoma del condominio. Corse per una decina di metri ed entrò, sentendosi al sicuro tra quelle mura conosciute.
«Ehi Kam.» la chiamò Marcus «Come è andata oggi?»
«Bene... Bene.» disse, con voce un po' indecisa «Ma non dovrebbe arrivare il ragazzo che deve sostituirti la notte?»
«Arriverà tra mezz'ora. Non vedo l'ora di tornare a casa e dormire. Non ci vedo più dal sonno.» rise, facendo ridere anche Kam.
«Allora buonanotte Marcus.» la ragazza salì le scale ed entrò nel suo appartamento.
David dormiva sul divano, sepolto da attrezzi di ogni genere. Kam ridacchiò nel vederlo così. Probabilmente l'idraulico non era il lavoro adatto a lui, soprattutto perché aveva lasciato tutti i tubi sparpagliati per terra e il lavandino ancora gocciolante.
La ragazza sistemò gli attrezzi e lo coprì con una coperta. Una domanda sorse spontanela nella sua mente. Avrebbe dovuto dirgli della foto e della strana ragazza?

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