Capitolo 2

31 2 0
                                    

Stesso giorno. Firenze. "Giulia! Giulia aspetta... ma dove corri? Tieni l'ombrello o ti prenderai la febbre. Ma non vedi come piove?".

Una ragazza bionda, con dei capelli lunghi e mossi, occhi castani, era in piazza sotto la pioggia, caso del destino anch'essa diretta all'università. Un'altra ragazza, bruna, dallo sguardo dolce le porgeva un ombrello per evitare che si bagnasse.

"Sì che ho visto che piove! Vale ti ho aspettata per venti minuti, ma dove eri finita? Lo sai che abbiamo lezione, muoviti o faremo tardi." Rispose in modo scocciato. Valentina come se non fosse successo niente l'accompagnò fino al portone principale, poi con stupore della sua migliore amica la salutò...

"Cosa?" disse Giulia. "Ma che fai non vieni oggi? Hai intenzione di lasciarmi da sola?".

"No! Ho un appuntamento." rispose divertita.

"E con chi?"

"Con uno che ho conosciuto ieri sera al pub. Si chiama Daniele. Dai basta domande o farò tardi. Ci vediamo dopo così ti racconto come è andata. Ciao, ciao" Valentina corse via, lasciando Giulia sempre più stupita dal comportamento impulsivo della sua amica. Ormai c'era abituata, la conosceva da quando era piccola, i loro genitori erano molto amici e quindi erano cresciute insieme. Giulia era molto più bella di Valentina, o meglio, ai ragazzi piaceva di più. Sempre dolce, con il sorriso sulle labbra, era corteggiata da tanti ragazzi della città, ma a lei non erano mai interessati molto, li definiva tutti stupidi e immaturi e quindi preferiva uscire con le amiche, in particolare Valentina. Era l'unica che sapeva ascoltarla e capirla come nessun altra persona al mondo sapeva fare. Le bastava guardarla negli occhi per sapere cosa le passava per la testa, sapeva perfettamente cosa la faceva essere triste o felice. Lo stesso succedeva a lei con Giulia. Si aiutavano a vicenda... forse un'amicizia più bella della loro non ci sarà mai.

 Ore 10:30. Napoli.

 "Mamma! Sono appena uscito! E' andata benissimo... ho preso il massimo dei voti... sono felicissimo. Senti a pranzo non torno me ne vado un po' al bar con i miei amici così festeggio con loro. Ci vediamo a cena." Era la voce euforica di Manuel. Aveva vinto un'altra battaglia. L'esame era andato alla grande, con i complimenti della commissione. Una telefonata veloce a Ciro e dopo poco eccolo lì con lui su una Classe A nera (un modello della Mercedes) sfrecciare per le vie della città per andare a festeggiare al Bar Sole&Mare insieme ai suoi amici. La città era più bella del solito, il sole alto nel cielo la illuminava come una prima donna. L'aria di mare rendeva tutto ancora più speciale, ma in quell'aria, o forse dentro di lui, Manuel sentiva che qualcosa non andava, che qualcosa di molto brutto stava per succedergli, ma non ci fece caso e alzò ancora di più lo stereo della macchina. Le note di Gigi d'Alessio accompagnavano quel momento di allegria e gioia... Dopo poco erano fuori dal bar... il barista Marco, un amico ormai di entrambi, li salutò calorosamente e non appena saputa la notizia chiamò tutti i ragazzi e offrì loro da bere. Tutti erano contenti per il loro amico, perché sapevano quanto era importante per lui l'università e gli studi, ma a interrompere quel momento fu la suoneria del telefono di Manuel:"Pronto!"

"Manuel sono papà corri all'ospedale è importante!". La conversazione terminò lì. Dopo venti minuti lui e Ciro erano al Policlinico di Napoli. Manuel corse dal padre in preda al panico "Papà che cosa è successo? Dov'è la mamma? Perché siete qui?" il padre nel modo più calmo possibile, anche se era difficile anche per lui mantenere la calma, gli disse "Stai calmo, ora ti spiego: alle 9 ho accompagnato tua madre a fare dei controlli perché era un periodo che non si sentiva molto bene..." lui lo interruppe:

"Perché non me lo avete detto? Sarei venuto anch' io lo sai!"

"Proprio per questo, tua madre non ha voluto. Avevi un esame importante e poi non voleva farti preoccupare. Comunque stavo dicendo di questo controllo... all'inizio sembrava una sciocchezza, ma nelle analisi che le sono state fatte oggi... Bé! Manuel non so come dirtelo..."

"Papà cos'ha la mamma? Dimmelo ti prego, sto impazzendo!!!" "Gli hanno scoperto un tumore al seno."Il panico, la paura, iniziarono a farsi strada in Manuel. Ciro gli andò vicino e il padre anche, entrambi sapevano che lui e sua madre non andavano molto d'accordo, ma per il semplice fatto che erano troppo simili, però in fondo il bene tra una mamma e un figlio è una cosa così naturale che è difficile poter esprimere a parole. "Dov'è adesso?" chiese al padre. "Le stanno facendo alcuni esami, per la chemio terapia che dovrà fare"

"Hai già chiamato Alberto?" Alberto era il fratello più grande di Manuel, aveva 28 anni e si era trasferito a Firenze per lavoro, era un avvocato molto in gamba per giunta. "Sì, l'ho avvisato. E proprio a proposito di questo volevo parlarti. Sai, come è la nostra condizione finanziaria, lavoro solo io. Si, non siamo messi male, ma tra l' università e le spese della casa e tutto non penso che riusciremo a pagare le cure a tua madre. Poi sappiamo com'è l'ospedale qui a Napoli, ci sono medici molto bravi, ma è caotico e la mamma non mi pare tanto decisa a farsi curare qui."

"Cosa vorresti dire?" lo interruppe di nuovo Manuel. "Semplicemente che lì a Firenze i medici e gli ospedali sono più affidabili e tuo fratello mi ha assicurato che penserà lui alle spese per le cure."

"Vorresti insinuare che dovremmo andare a vivere lì? E questo che stai cercando di dirmi?"

"Sì, ma solo per qualche tempo" rispose il padre. "No! Non puoi chiedermi questo. Non puoi chiedermi di abbandonare i miei studi, i miei amici, la mia città, la mia vita! NON PUOI!".Manuel andò via. Corse via. Uscì dall'ospedale e corse, corse, corse... perdendo la cognizione del tempo. Finché si ritrovò sotto casa sua. Si sedette sulle scalinate, faceva sempre così quando era triste o arrabbiato, sbatteva la porta di casa e si metteva lì sulle scale. Accese una sigaretta. Erano all'incirca le tre del pomeriggio. Dopo quella sigaretta ce ne fu un'altra, poi un'altra e un'altra ancora. Fino a che il pacchetto finì e ormai si era fatta sera. Si era fatta sera. C'era freddo. Ad un tratto una macchina scura si avvicinò verso di lui. La riconobbe subito: Ciro. Scese dalla macchina "Ué! Non hai mica bisogno di una sigaretta?" sempre il solito, pensò Manuel, al momento giusto arriva e ti porta un po' di allegria. Sorridendo gli rispose "Mia mamma ha detto che non devo accettare niente dagli sconosciuti!". Cominciarono a ridere... Ciro si sedette lì accanto a lui e iniziò a parlare come sempre, come ogni volta che aveva bisogno, in quel dialetto napoletano che lì al nord nessuno capisce, anzi, che forse odiano pure. "Devi! Tu vuoi bene a tua madre." gli disse "questa è la tua città, qui hai tutto, ma tornerai. E poi scusa, ma che palle! Sono 19 anni che ti sopporto. Dammi un paio di mesi di tranquillità." Manuel rise "Hai ragione. Ormai sembriamo sposati! Va bene dai. Domani vengo a salutare tutti lì al bar."

"Bravo così mi piaci! Vado a farmi una doccia e stasera a letto presto. Con la nottata che mi hai fatto passare per studiare, un po' di riposo ci vuole!" Si incamminò verso la macchina."Oh Ciro!" lo chiamò Manuel. "Quasi dimenticavo... Grazie!"Lui sorrise. E andò via.  

Senza un addio (#Wattys2015)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora