Capitolo 8

928 44 19
                                    


Dieci giorni, secondo alcuni dei pensieri ottimistici che più conoscevo, per molti possono rappresentare un asso di tempo a dir poco insignificante. «Sai quante cose possono succedere da un momento all'altro?» non avevo fatto altro che sentirmi ripetere fino alla nausea, e fino ad allora ero riuscita quasi a convincermene anch'io: in realtà, tutto sembrava improvvisamente sgretolarsi, se paragonato a quegli infiniti giorni che mi ero appena lasciata alle spalle. Decisamente, i più lunghi della mia vita.
Ero rimasta rinchiusa in camera mia ogni singolo istante, escluse le scappatelle al gabinetto per estremi bisogni fisici e le rare volte in cui mi ero avventurata al piano di sotto per rifilare qualche schifezza da mettere sotto i denti, a deprimermi con Io & Marley, Up, Hachiko, La Volpe e la Bambina e così tante serie TV da non riuscire nemmeno a nominarle tutte senza dimenticarne qualcuna. Avevo la testa così piena di nomi, trame e intrighi che ricordavo a mala pena la mia data di nascita.
Ma, in fondo, era stato proprio quello il mio scopo. L'unico mezzo a mia disposizione, tralasciando la musica al massimo volume proveniente dal mio telefono, per dimenticare qualcosa di estremamente sconvolgente o improvviso nel corso dei miei giorni: il bacio di Harry mi era sembrato un avvenimento fin troppo sconvolgente per non aggiungerlo alla lista.
Eppure, dopo essere sopravvissuta a tanto, in quel momento ero lì: intenta ad infilarmi una Converse maledettamente determinata a non voler accogliere il mio piede, la mattina del matrimonio del mio ex ragazzo. Nick si sarebbe dovuto sposare poche ore dopo e io, giusto per non smentirmi mai, ero rimasta ormai l'unica a finire di prepararsi.
Me ne convinsi, una volta per tutte, solo quando le ragazze fecero irruzione nella stanza come delle furie, esclamando in contemporanea: - Sei ancora in pigiama! -. Poggiai di nuovo il piede a terra, dopo aver perso dieci anni di vita per la loro entrata in scena così improvvisa, prima di alzare un sopracciglio nella loro direzione.
Da quando in là un leggins con Converse e maglione potevano considerarsi un pigiama? Io, per dormire, avevo indossato sempre e solo pigiamoni di due taglie maggiori alla mia, con figure di cartoni animati stampati sopra.

- Per quale assurdo motivo mi state accusando di indossare il pigiama ad un matrimonio? - chiesi, profondamente offesa, prima di sentire un leggero ticchettio sul pavimento dovuto ai loro tacchi.

Non avevo nemmeno molta voglia di andarci, per via della mia depressione post-illusione, ma sapevo anche che, se non mi fossi presentata affatto, avrei tenuto quel giorno sulla coscienza per il resto della mia vita: motivi conclusivi della mia scelta, un po' troppo poco impegnativa, dal mio armadio. In più, un ulteriore matrimonio non avrebbe potuto far altro che giovare alla mia futura carriera di Wedding Planner.
Le mie amiche, forse, erano seriamente convinte che mi sarei resa conto da sola della mia completa sciatteria, con le loro espressioni accigliate e le braccia incrociate sotto al seno: peccato che, dalla mia parte, non ottennero altro che un cipiglio ancora più determinato del loro.
Prima di mandarmi al diavolo anche verbalmente, oltre che col pensiero, l'unico briciolo di pena ancora presente nei loro corpi le portò a mostrarmi un vestito a dir poco improponibile alla sottoscritta: la scollatura a trapezio, priva di spalline, era rifinita da una piccola fascia nera, mentre il resto del corpetto rosa cipria e la gonna del medesimo colore avrebbero dovuto ricadere morbidi sul corpo della ragazza che sarebbe dovuta entrare in quella massa di femminilità e sensualità. Ovvero, me.
L'unico punto a sfavore di quel vestito era il colore: avevo convissuto con il rosa fin dalla nascita, portandomi ad odiarlo sempre di più nel corso degli anni, e non ero esattamente entusiasta di dover sembrare una bambolina per un evento a cui non volevo nemmeno partecipare. Per il resto, osservandolo meglio, non sembrava poi così orribile.
Il vero problema? Io non potevo indossare vestiti. Da piccola, fino all'età di cinque anni circa, mia madre non aveva fatto altro che conciarmi come desiderava lei: vestitini, scarpine abbinate, completini orribili che, a solo rivederne le foto, non riuscivo a spiegarmi come non avessi osato ribellarmi già da allora. Verso i sei/sette anni, il mio culetto così delicato e apprezzato da tutti aveva iniziato a sporgere leggermente all'indietro fino a raggiungere la cosiddetta forma "a mandolino", un po' come quello di Louis. Era un buon alleato per ricevere complimenti o occhiate da parte del pubblico maschile, ma non mi aveva mai reso vita facile con i vestiti e o le gonne. "Con il sedere sporgente che ti ritrovi, quando cammini, l'orlo di dietro del vestito (o della gonna) si alza e ti si vede tutto!": testuali parole della donna che mi aveva messa al mondo diciannove anni prima. Continue tiratine verticali da parte di mia madre, durante la mia infanzia, costituivano la causa di quel mio vero e proprio terrore verso tutto ciò che mi arrivasse a metà coscia.

- Dai, sappiamo che ti piace! - esclamò Mara allegra, prima di scappare in camera sua per prendere una delle sue numerose, ed enormi, trousse.

Mi risvegliai all'istante, cercando di scacciare da davanti agli occhi i fin troppi episodi dove la mano di mia madre mi abbassava da dietro l'orlo di una gonna in pubblico, e scossi la testa centinaia di volte in un minuto. - Non indosserò mai quella... cosa. Mi spiegate perché non posso indossare dei semplici pantaloni eleganti come Dada e Margaret? -.
Io e Mara saremmo state le uniche ad indossare un vestito (il mio cipria, il suo nero): le altre due, per loro estrema fortuna, avevano optato per dei pantaloni rispettivamente beige e blu, molto eleganti, con dei tacchi vertiginosi sotto e delle camicette abbastanza semplici sopra.

- Perché tu non indossi mai vestiti e, chissà, magari farai colpo su qualche amico di Nick - continuò Mara, rivolgendomi un occhiolino complice.

Abbassai gli angoli della bocca, trasformando la mia espressione determinata in una completamente disperata, prima di affidarmi alle mani esperte delle mie migliori amiche.
Sentivo la paura impossessarsi delle mie ossa, ogni secondo di più.






*****





- Ma la sposa quando arriva? -.

La palpebra destra iniziò a vibrarmi per il nervoso, non appena risentii quel sussurro per la centesima volta alle mie spalle, e cercai seriamente di trattenermi dal dire a quella signora di fare silenzio. Eravamo arrivate in chiesa mezz'ora prima e, dal momento preciso in cui ci eravamo accomodate su uno dei tanti banchi addobbati di tulipani tutti colorati, una donna sulla sessantina, tutta agghindata con un cappellino di piume giallo canarino in testa, non aveva fatto che "sussurrare" di continuo all'orecchio di una ragazza proprio accanto a lei. Il vero problema? Non stava sussurrando affatto.
"Ma quando arriva la sposa?", "Come sarà il vestito, secondo te?", "Guarda quant'è nervoso Nick!", "Ma quando andiamo a mangiare?", "Chi ha organizzato tutto?", "La sposa ci sta mettendo parecchio... E se non dovesse arrivare?", "E se si è dimenticata che oggi si sposa? Mamma mia, pensa che imbarazzo per il povero Nick!", "Ma quando arriva?".
Più la sentivo blaterare e più mi saliva una voglia irrefrenabile di farle mangiare i tulipani.
Per chiudere in bellezza, il mio abbigliamento mi rendeva estremamente insicura e nervosa: a casa, dopo l'intera trasformazione con trucco quasi naturale e capelli raccolti all'indietro, mi ero quasi autoconvinta di stare abbastanza bene. Mio malgrado, avevo abbandonato l'idea non appena ci eravamo ritrovate davanti la chiesa, sotto gli occhi indiscreti di ogni singolo essere umano di sesso maschile. Le mie guance avevano raggiunto una tonalità così accesa di rosso che, per la vergogna, mi ero coperta il viso con la pochette ed ero letteralmente scappata all'interno.
Sentivo le occhiate incuriosite addosso da parte di tutti i parenti del mio ex ragazzo, di sicuro straniti dalla mia presenza al suo matrimonio, ma cercai di concentrarmi sui vari addobbi sparsi in giro, sforzandomi di non farci caso. Andare a quella maledetta celebrazione si stava rivelando, ogni secondo di più, un'idea a dir poco ridicola.

- Ma quando arriva? - sentii di nuovo alle mie spalle, perdendo ogni briciolo di calma trattenuta fino ad allora.

La mia reazione fu a dir poco istintiva, girandomi verso la copia uscita male di Tweety, prima di rivolgerle il sorriso più falso che mi fosse mai uscito. - Senta, mia cara signora: siamo nella casa del Signore quindi, se riuscisse a chiudere il becco per soli cinque minuti, non ha idea dei miracoli che potrebbero capitarle da questo istante in poi -.
Rimase a dir poco sconcertata da quella minaccia indiretta e, dopo essersi lisciata la stola in pelliccia (cosa che iniziò a farmela odiare maggiormente), mi osservò ancora più indignata, prima di chiedermi scusa. Ma non feci in tempo nemmeno a rigirarmi che la sentii borbottare di nuovo, con tono indignato: - Questi giovani d'oggi -.
Fu il quel preciso istante che non ci vidi più, motivo per cui mi alzai dal posto e le rivolsi tutta la mia attenzione, prima di alzare la voce: - Lei non fa altro che parlottare in un luogo sacro e io sarei la maleducata?! Ma si vada a comprare un cappello decente, piuttosto che uccidere altri poveri uccelli innocenti e rompere a me! -.
Sentii l'orlo della gonna tirato verso il basso, segno che Mara stesse cercando di farmi tornare a sedere e, a confermarmelo, furono anche tutte le occhiate accusatorie di ogni singolo presente in chiesa. Recuperai una piccola quantità di calma solo quando ritoccai di nuovo il legno con il sedere, ignorando completamente la predica sussurrata delle ragazze accanto a me: ero riuscita già da sola a fare la parte della bambina maleducata.
Tirai un sospiro di sollievo vero e proprio nel preciso istante in cui le note dell'organo si iniziarono a propagare ovunque e tutti si alzarono in piedi, girandosi verso l'entrata per ammirare la sposa appena arrivata: quando Nick mi aveva invitata al matrimonio, forse per distrazione, non mi aveva neanche rivelato il nome della ragazza che, in quel momento, stava percorrendo la navata verso il mio ex. Era un'altissima bionda, con un profilo a dir poco scolpito, due occhi azzurri molto espressivi e il fisico perfettamente paragonabile a quello di una modella. In quattro parole: il mio completo opposto.
Il vestito era tendente al bianco antico, coperto di pizzo in ogni angolo, con delle maniche a tre quarti e una scollatura a barca; le scarpe bianche, leggermente a punta, uscivano alla luce solo di tanto in tanto.
Mentre la sposa avanzava a passo lento verso Nick, mi girai proprio verso quest'ultimo, per vedere la sua reazione: si stava mordendo il labbro sorridendo, sull'orlo di commuoversi e, non appena socchiusi leggermente gli occhi per guardarlo meglio - brutta miopia del cavolo -, giurai di aver notato una lacrimuccia scendergli lungo la guancia. A quella vista, non riuscii a trattenere un sorriso spontaneo, e provai un vero e proprio senso di felicità in ogni singolo centimetro di pelle: quell'armadio vivente era stata la mia prima storia, vero, ma non avrei mai potuto sostituire la causa di quel luccichio nei suoi occhi. Non ne avrei avuto neppure il coraggio.
Non appena la regina del giorno arrivò al suo promesso sposo, con un sorriso da orecchio a orecchio persino più grande di quello di Nick, a ogni singolo invitato fu ordinato di sedersi per iniziare la cerimonia vera e propria. Come al solito, non mi ci volle molto prima che la mente iniziasse a viaggiare per conto suo, facendomi comparire davanti gli occhi tutte le immagini e le aspettative del mio, di matrimonio. Decorazioni azzurre ovunque, l'organo, lo sposo commosso ad aspettarmi, le ragazze vestite di azzurro prima del mio ingresso lungo la navata, i ragazzi vestiti di tutto punto accanto al mio futuro marito come testimoni e ogni altro singolo dettaglio del mio matrimonio da sogno iniziarono ad affollarmi completamente la testa. L'unica incognita? L'identità dell'uomo impaziente, ma entusiasta. Per quanto mi sforzassi, il volto di Nick non riusciva più ad appropriarsi dello sconosciuto in questione. Al contrario, scossi la testa per davvero nell'esatto momento in cui non notai Harry tra la schiera immaginaria di testimoni: perché non faceva parte dei miei filmini mentali? Perché lo avevo tagliato involontariamente fuori dalla lista degli invitati?
Mi resi conto di non aver dovuto nemmeno nominare lo spilungone nel preciso istante in cui il mio matrimonio da sogno venne accantonato e sostituito dal bacio maledetto di dieci giorni prima. Mi sembrò quasi di sentire ancora le sue labbra morbide sulle mie. Mi salì un brivido lungo la schiena al solo ripensare all'intera scena, ma fui risvegliata poco dopo dagli applausi scroscianti di ogni singolo presente nella chiesa. Mi guardai intorno confusa, iniziando a battere le mani d'istinto, prima di riportare l'attenzione sugli sposi, intenti a scambiarsi un tenero e casto bacio.

- È già finita? - chiesi a Mara, continuando ad applaudire insieme agli altri.

La mia amica di girò verso di me con un'espressione scioccata, prima di sussurrarmi: - Lo sai che è durata quasi un'ora e mezza? -. Alzai un sopracciglio, credendo che stesse scherzando, ma, non appena notai la sua espressione, capii di aver fantasticato fin troppo: dovevo seriamente imparare a non farmi trasportare così tanto dai miei filmini mentali.
Successivamente, gli sposi iniziarono il servizio fotografico all'interno della chiesa mentre tutti noi altri ci prestavamo ad uscire dalla chiesa per poter lanciare loro dei coni pieni di riso, altro fatto che mi lasciò un po' perplessa: non mi sarei di certo mai immaginata una cerimonia talmente cattolica, soprattutto da parte del mio ex.
Non appena intravedemmo i novelli sposini venire verso di noi, si sollevò nell'aria un'enorme nuvola di riso e coriandoli gialli che finì dritta in testa a Nick e sua moglie, facendoli ridere. A quel punto, ogni singolo famigliare e amico iniziò a spingere per poter salutare la nuova coppia ufficiale mentre noi ragazze fummo, forse, le uniche a metterci in un angolino: non avevo alcuna voglia di fare la conoscenza della novella sposa del mio ex, per principio. Le ragazze, invece, mi avevano assicurato dall'inizio di essere venute al matrimonio solo per pura noia e cibo gratis : da quando mi era spuntato un paio di piccole corna in testa, per colpa dell'armadio vivente, le mie amiche non avevano voluto sentirlo neppure più nominare.
Pigiai il tasto centrale del mio cellulare per controllare l'ora, mentre Margaret si accese una sigaretta e Mara e Daniela iniziarono a commentare l'abito della sposa, prima che una voce fin troppo conosciuta si avvicinasse sempre di più: - Manu! Ragazze! -.
Rimisi il telefono in borsa, sussurrando un "Carine e coccolose, per favore" alle altre, e mi impegnai nel sorriso più finto della mia vita. - Nick! -.
Le ragazze si sistemarono dietro di me pochi istanti dopo, concentrate nel far sembrare reali i loro sorrisi, nonostante fossero più falsi di quelli delle Barbie, e continuammo a fare gli auguri a Nick fino a quando un'altra voce non si aggiunse: - Amore, non mi presenti le tue amiche? -.
Lo sposo si girò subito, sorridendo subito alla vista della nuova signora Morgan a pochi passi di distanza, e non perse tempo a cingerle il fianco con un braccio. - Ma certo! Loro sono Daniela, Mara, Margaret e M- -.

Amore, odio... e un paio di ConverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora