Capitolo 3 (I Parte)

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Stavo preparando la roba per la famosa gita in montagna e il mio tasso di felicità si stava abbassando con ogni cosa che infilavo nel borsone: non avevo nessuna intenzione di restare, molto probabilmente, da sola con Harry. Erano passati due giorni da quella cena e non lo avevo né sentito, né ci avevo parlato e, sinceramente, parlarci era l'ultima cosa che mi andava di fare. Avevo già intuito com'era fatto e:

1) non era il mio tipo;

2) anche se era davvero molto carino, il carattere rovinava tutto;

3) per come mi aveva trattata, era meglio per lui se si allontanava da me di almeno un paio di metri.

Se mi avesse rivolto di nuovo la parola non sarei stata cosciente delle mie azioni. Ero così presa da quei brutti ricordi che non mi accorsi nemmeno di star forzando troppo la cerniera del borsone per farlo chiudere; me ne accorsi solo quando la figura di Daniela fece capolino nella stanza.

- Sistah, hai fatto? Manchi solo tu - mi avvertii, guardandosi intorno.

- Si, ho fatto. - risposi prendendo in spalla la mia unica "valigia" e dirigendomi verso di lei.

Non volevo rovinare quella scampagnata alle ragazze, non ne sarei mai stata capace, ma in quel momento mi risultò più difficile del previsto fare un sorriso sincero. Solo il pensiero di Harry mi faceva ribollire il sangue nelle vene un'altra volta.

- Solo quello ti porti? -.

- Si, le cose essenziali per due giorni - risposi sistemandomi meglio la bretella.

Non ero il tipo di ragazza che era solita portarsi in giro decine e decine di valige per viaggiare: se le cose essenziali entravano in un semplice borsone, anche fuori moda, a me andava più che bene. Vedendo il suo faccino da cucciola, mi sforzai di sorridere sinceramente, ma mi uscì una semplice smorfia che tutto assomigliava tranne che a un sorriso. Almeno ci avevo provato.

- Oh, questa è la mia sistah! - affermò, avvicinandosi per tirarmi leggermente le guance - quanto sei tenera quando mostri la fossetta! -

Il mio elemento caratteristico, che tutti mi avevano sempre invidiato, era una fossetta sulla guancia sinistra. Chiunque incontravo, alla prima impressione, mi considerava una ragazza buona e tenera solo per quel particolare... peccato che, appena aprivo bocca, tutti si ricredessero magicamente.

Non appena Daniela uscì dalla stanza, mi lasciai andare a un profondo sospiro e mi misi l'anima in pace; "lo faccio per i miei amici, solo per loro" continuavo a ripetermi in testa mentre scendevo le scale fino al salotto. Una volta arrivata al piano di sotto tutti quei pensieri positivi lasciarono subito spazio a pensieri più contorti e concreti: di chi erano quelle valigione all'ingresso? Giuro di non averle mai viste in vita mia.

- Di chi sono? - chiesi indicando quegli oggetti colorati, con un'espressione un po' perplessa.

- Nostre - risposero in coro con le mani sui fianchi.

Pensandoci, avrei dovuto immaginarlo: la verde di Daniela, la viola di Mara e l'arancione di Margaret... in effetti aveva senso, sì. Restava comunque il fatto che, almeno per quanto riguardasse me, fossero davvero eccessive. Non dovevamo mica partire per un mese, accidenti.

- E che dovete farci? -

- Sono le nostre cose - rispose alzando le spalle Mara

- Ragazze, andiamo via due giorni, non un mese! - feci notare a tutte ancora più confusa.

La domanda sorgeva spontanea: ero io a portarmi troppa poca roba o erano loro ad aver esagerato? Iniziavo ad avere seri dubbi sul numero necessario di mutande.

Amore, odio... e un paio di ConverseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora