Capitolo 36

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La nostra conversazione era stata frenata dalla voce di nonna che ci chiamava insistentemente.
Lo osservavo mentre mangiava il pranzo che nonna Margaret aveva preparato con tanta cura.
Era seduto di fronte a me e non riuscivo a smettere di chiedermi chi fosse realmente e soprattutto cosa volesse.
Dovevamo continuare il nostro discorso a tutti i costi. Dovevo avere delle risposte.
Addentava il cibo, chiacchierava, come se fosse a casa sua, senza porsi alcun problema. I nonni poi, lo avevano accolto a braccia aperte, come un nuovo nipotino.
Era tutto così strano e illogico.
Quando arrivò il momento di lavare i piatti ne approfittai per inviare un messaggio ad Harry. Dopo cinque secondi dall'aver premuto il tasto invio, il mio cellulare cominciò a squillare.
"Arrivo subito."
"Harry, aspetta..." dissi io, cercando di non alzare troppo la voce "cerca di calmarti prima."
Lo sentivo agitato e anche se eravamo a telefono, riuscivo ad immaginarlo camminare avanti e indietro per la camera, passarsi le mani tra i capelli e tenere i pugni ben saldi.
"Non ti lascio da sola con quel tizio, Emy."
"Ha detto che lo manda mio padre..."
Il ragazzo si calmò e si ammutolì. Evidentemente non sapeva più che dire. Avevo toccato un tasto che anche per lui era difficile parlarne.
"Se anche lui è un cacciatore, potrebbe ucciderti."
"Non mi importa, Emy. Lasciami venire."
Restai in silenzio.
Non volevo che Harry rischiasse così tanto per colpa mia. Non conoscevo Colin e non sapevo quali fossero le sue intenzione. Non potevo rischiare di perdere Harry ma d'altra parte non sarei mai riuscita a dissuaderlo dall'idea di venire.
"D'accordo."sussurrai.
Ci salutammo in fretta quando sentii dei passi sempre più vicini.
Colin si alzò le maniche della camicia bianca e cominciò a sciacquare i piatti mentre io li insaponavo.
Lo osservavo con la coda dell'occhio, mi sentivo imbarazzata, impaurita e arrabbiata allo stesso tempo a causa sua.
"A che ora hai detto che verrà il tuo ragazzo?" chiese lui, asciugando le sue mani.
Perplessa, mi domandai se gli avessi detto che Harry sarebbe venuto, eppure ero fermamente convinta di non aver accennato nulla a nessuno.
"Più tardi." risposi, fingendo di non interessarmi.
"Dovrò rispondere a molte delle vostre domande, immagino."
"Credo sia il minimo, dopo esserti appropriato della mia camera. Ah, voglio che tutta la tua roba, sparisca entro stasera."
Sorrise divertito, poi si allungò verso di me e rispose dicendo: "Credo sia meglio che sia tu a trasferirti sul divano, a meno che tu non voglia che tutti vengano a sapere che il tuo ragazzo è un mostro."
Serrai i pugni. Non potevo contrabbatere. Conosceva il mio punto debole.
"È così che hai convinto i miei nonni ad ospitarti? Minacciandoli?"
"Oh no. Ho vari trucchetti angelici che mi permettono di divertirmi un po', tra cui la persuasione. Devo dire che mi aspettavo sarebbe stato più difficile ma fortunatamente non hanno fatto storie."
Mi sentivo impotente. Non potevo fare nulla, se non stare al suo gioco.
"Voglio che tu te ne vada da casa mia" dissi avvicinandomi a lui e puntandogli il dito contro "non so tu cosa voglia da me, ma ti voglio fuori di qui."
Tentai dunque invano di cacciarlo via con l'unica arma che avevo in possesso, la parola.
"Mi piaci, Emily. Sei forte, coraggiosa, tenace..." rispose sfiorandomi i capelli, dopodiché continuò sussurrando al mio orecchio "ma la mia risposta è sempre no."
Avevo sempre immaginato che gli angeli fossero degli esseri buoni, cortesi e gentili ma Colin invece era un emerito stronzo.
Quando se ne andò, mi venne voglia di rompere tutto, buttare i piatti sul pavimento, scaraventare tutto ciò che si trovava davanti ai miei occhi per aria.
Odiavo sentirmi così debole e vulnerabile, incapace di poter proteggere le persone che amavo. Ma nonostante ciò, nonostante fossi una semplice umana avrei lottato fino alla fine per loro.

Quando il campanello bussò, aprii la porta e vidi Harry col solito viso preoccupato e semi-arrabbiato.
Con il dolce caratterino che si ritrovava Colin probabilmente Harry sarebbe andato su tutte le furie ed era questo a spaventarmi maggiormente.
I nonni salutarono il ragazzo e uscirono di casa, a nostra sorpresa.
"Dove andate?" domandai di conseguenza.
"Usciamo a divertirci un po'." rispose nonna Margaret.
Di certo non mi dispiaceva che si divertissero ma di sicuro c'era lo zampino di Colin.
Quando i nonni si chiusero alle spalle la porta, posai le mie mani sul viso di Harry e lo baciai con l'intento di allentare un po' la tensione.
Ci dirigemmo poi, in salotto, dove Colin ci aspettava.
Stava seduto comodamente sul divano, sereno come se fosse il padrone dell'abitazione. Il braccio sinistro era poggiato allo schienale del divano mentre con l'altra mano teneva un bicchiere di whisky.
Mi infastidiva tanto il modo in cui si era appropriato di casa mia.
"Tu devi essere Harry Styles. È un onore fare la conoscenza del ragazzo che ha rubato il cuore della dolce Emy."
Harry era teso, lo vedevo in difficoltà, come se non riuscisse a far fuoriuscire le parole dalla sua bocca.
Era la prima volta che lo vedevo così agitato ed iniziai a preoccuparmi.
"Harry, stai bene?"
Non riusciva a rispondermi.
"Harry?!"
Cercava di parlare ma non ci riusciva. Urlai il suo nome ancora una volta, spaventata.
Mi voltai verso Colin e lo vidi tranquillo sorseggiare il suo drink.
"Non preoccuparti, non gli sto facendo del male. Voglio solo evitare che parli, dato che è solo con te con cui voglio parlare. Lo lascerò ascoltare se farà il buono."
Quando Harry cominciò a calmarsi e a riprendere a respirare regolarmente, mi rilassai anch'io quel poco che mi serviva per aprire bocca.
"Come credi che possa mai fidarmi di te se costringi il mio ragazzo a tacere?" chiesi alterata.
Posò il bicchiere sul tavolino sovrastante e poggiò i gomiti sulle sue gambe, per poi rispondere: "Non ti sto chiedendo di fidarti di me, fidati di te stessa, del tuo istinto, dei tuoi sensi. Credi che sia venuto qui per proteggere una ragazzina per puro divertimento? Non mi cambierebbe poi così tanto se tu morissi, ma sono in debito con tuo padre, quindi eccomi qui."
Ancora una volta mi aveva messo con le spalle contro al muro.
Era forte, astuto e abile con le parole. Sembrava invincibile anche quando avevo Harry al mio fianco.
"Non voglio farti del male, Emy, e sinceramente mi sto stancando di ripetertelo."
Per un istante, lo credetti.
Forse aveva ragione, dovevo fidarmi di me stessa. Dopo la morte di Constantine, Cedric era molto più arrabbiato e molto più deciso a vedermi morta, quindi il mio istinto di conservazione mi portava a fidarmi di lui, nonostante non lo volessi.
"Quindi tu sei un angelo."
"Per l'esattezza sono un angelo caduto."
"È la differenza sarebbe..."
"Sono un angelo a tutti gli effetti ma manco di purezza e per questo non godrò mai della beatitudine del paradiso. Sono condannato a vagare sulla terra, fino alla fine dei tempi."
Ascoltare le sue parole e crederci, era ancora più difficile di quando Harry mi raccontò la verità su di lui.
Sembrava tutto così surreale. Avevo vissuto tutta la mia vita, ripetendomi che cose del genere non potessero esistere se non nell'immaginazione dei bambini. Eppure in quel momento mi ritrovavo proprio nel mezzo di una storiella che si racconta prima di andare a dormire.
"Sei immortale, dunque. Fantastico, non potrò ucciderti mentre dormi."
Rise.
Harry mi guardò come per dire che non era il momento giusto per dell'ironia.
Con uno sguardo, Colin sciolse la lingua di Harry che poté riaprire bocca.
"Devi stare lontano da lei." disse non appena gli fu concesso.
L'angelo portò gli occhi in alto ed esclamò: "Chiudi la bocca." poi rivolgendosi a me "è per questo motivo che non gli permettevo di parlare."
Sorrise ancora una volta, nonostante non ci fosse nulla per cui ridere.
Era sicuro di sé, consapevole di essere il più forte in quella casa.
Harry mi prese la mano e mi portò in camera mia.
Mi sedetti sul letto per la prima volta in due giorni. Mi era mancato.
Il ragazzo andava a destra e a sinistra, irrequieto.
"Calmati, Harry."
"Come faccio a calmarmi, Emy! Mi ha chiuso la bocca con un solo sguardo, è troppo forte anche per me. Non posso proteggerti da lui e il pensiero che è qui, in casa tua, mi sta distruggendo."
Mi alzai e cominciai a carezzare la sua schiena, finché poi non lo abbracciai. Posò le sue mani sulle mie, mentre la mia guancia era posata sul suo dorso.
"Neanch'io sono tanto felice di dover dormire sul divano." risposi sdrammatizzando.
Lui si voltò, gli afferrai la mano e prima che potesse arrabbiarsi ancor di più, lo baciai. Accennò un sorriso, capendo il mio intento e mi baciò nuovamente.
Ci stendemmo sul letto mentre le nostre labbra continuavano a premere le une contro l'altra.
Le mani del ragazzo si stavano lasciando cedere alla tentazione di sfiorare ogni minima parte del corpo sottostante.
Improvvisamente, Harry si alzò, lasciando me stranita ma poi vidi Colin, mangiucchiare delle patatine, osservarci.
"Non fate caso a me, continuate pure." affermò lui divertito.
Imbarazzata come non lo ero mai stata, mi rialzai immediatamente.
Portai i capelli dietro alle orecchie e fissavo il basso per evitare lo sguardo di Colin.
Lo odiavo, quanto lo odiavo.
"Credevo che foste preoccupati del pericolo che potrei essere" disse sedendosi accanto a me e avvicinandosi all'orecchio "ma a certi impulsi non si può resistere, vero?"
Mi alzai di fretta per allontanarmi il più veloce possibile da quel ragazzo e ritornammo al piano di sotto.
La situazione precedente aveva creato un bel po' di imbarazzo anche tra Harry e me. Infatti, stavamo seduti sul divano in silenzio, ad una debita distanza.
Il ragazzo aspettò che ritornassero i nonni prima di andarsene, mi salutò con un bacio veloce, stizzito ancora per ciò che era accaduto.
Preparai cuscino e coperta sul divano, e cominciai a cercare una posizione abbastanza comoda per poter prendere sonno.
Si prevedevano mal di schiena e torcicollo finché non avrei riavuto la morbidezza del mio letto.
Il pensiero di quello sconosciuto nel mio letto, beato, con la possibilità di frugare tranquillamente tra le mie cose, mi urtava pesantemente tutto il sistema nervoso, ma ciò che mi dava ancor più fastidio era che non potevo farci un bel niente e che mi piaceva o no, era lui a condurre il gioco.

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