capitolo 5

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"Leah, tutto okay?"
"Sì, tutto a posto" mentii mentre camminavamo per il marciapiede, io con lo sguardo basso e le mani in tasca pronta a dare un calcio ad ogni pietra che avessi trovato.
"Come dici tu" sospirò "perché guardavi quella fotografia prima?"
"Oh, uhm, niente di che..." alzai lo sguardo verso di lui.
Quegli occhi così dannatamente perfetti, di un blu sfumato che il mare poteva solo invidiare.
"È solo che la trovo familiare, come se l'avessi già vista" ammisi scrollando le spalle.
"Di che città sei originaria?"
"Non ne ho idea, non me lo ricordo, i miei hanno detto che ero molto piccola quando ci siamo trasferiti in Nevada...ma adesso che ci penso non me ne hanno mai parlato"
Subito mi venne un dubbio: Non me ne avevano mai parlato perché non la trovavano una cosa importante o perché c'era qualcosa di nascosto?
Cercai di spazzar via quei pensieri, me lo avrebbero detto.
Mi dicevano sempre tutto.
Giusto?
"Perché me lo chiedi?"
Scrollò le spalle per poi mettere una mano in tasca.
Cacciò fuori una sigaretta e la posizionò in bocca, non ci potei credere.
Mi bloccai nel bel mezzo del marciapiede, spiazzata, arrabbiata e girai i tacchi mentre delle gocce iniziarono a cadere.
Il tempo sembrava un po' cupo, ma non ci diedi molta retta quando decisi di uscire.
"Ehi, Hazel, calma" afferrò il mio polso girandomi verso di lui.
"Hazel?"
"Oh, scusa, non-"
"Hai letto "colpa delle stelle"?" Chiesi, interrompenderlo.
"Pensavo tu non fossi una ragazza "da libri"" sorrise lasciando il mio polso.
"Ne ho letti più di te" risi "comunque, leggi John Green?"
"Sì, è un grande scrittore, ha tutta la mia stima"
"Okay, Augustus, ma non mi piace comunque questa cosa delle sigarette" cercai di imbronciarmi, fallendo miseramente.
Lui prese un accendino dall'altra tasca portandoselo alla bocca per poi fissarmi con quello sguardo...
Leah, calma i tuoi dannati ormoni.
Mi accigliai quando accese la fiamma.
"Sto scherzando, tranquilla"
Quando ritirò l'accendino in tasca feci un sospiro di sollievo, seguito da una sua risata a cui risposi alzando gli occhi al cielo.
"Fallo ancora una volt-"
"non lo farei mai, okay?"
Posò un indice sulle mie labbra, facendomi tacere.
Ero così incantata dal suo modo di essere.
Era un ragazzo così tranquillo, non aveva paura di dire o fare qualcosa di sbagliato, era sciolto, deciso, era la libertà in persona.
E lo amavo per quello.
Cioè, non "amavo", ero infatuata, piuttosto...penso.
Dio, non riuscivo neanche ad andare dietro ai miei pensieri.
"Mi hai sentito?"
"Cosa?" Alzai lo sguardo verso di lui, distratta.
Ero un casino.
"Inizia a piovere, ti va di andare a casa mia? È meglio rimandare il tour della città"
"Certo, se non è un proble-"
"Non lo è" sorrise.
Era così dolce e premuroso verso i miei confronti, non avrei mai pensato fosse così, insomma, di prima vista sembrava un ragazzo timido e "chiuso", invece adesso è tranquillo.
"Posso farti una domanda?"chiese.
"Tutte quelle che vuoi"
"Ti sei mai sentita come se l'intero mondo ti stesse andando contro?"
Fin troppe volte.
Mi sentivo così davvero fin troppe volte, cercavo qualcosa di sbagliato in me, qualcosa di sbagliato che avessi fatto.
Ma proprio non capivo.
Ero sola contro tutti e basta.
Io non potevo capire loro e loro non volevano capire me.
"Sì" ammisi.
Tirai nervosamente indietro i capelli rossi, sospirando.
Lui non si sentiva così...vero?
"Te?"
"Oh, io? Sì, la maggior parte del tempo" rispose freddo.
Non volle far trasparire alcun sentimento da quella frase, la disse semplicemente.
"Se vuoi, puoi sfogarti"
"No, tranquilla, sto bene" continuò a tenere lo sguardo davanti a lui, senza neanche guardarmi una volta.
"Sai cos'avevo prima?"
Si accigliò guardandomi.
Avevo finalmente ottenuto il suo sguardo, la sua attenzione.
"No, cosa?"
"Questo..." gli porsi il cellulare facendogli leggere il messaggio "è troppo da sopportare per me, ho voluto cambiare tutto per molte ragioni, e questa è una di quelle"
"oh, mi dispiace...io..."
"già, bello schifo, eh? Quindi sì, so cosa vuol dire sentirsi contro tutti, e ora sai che ti posso capire. Cosa è successo?" Chiesi, decisa.
Sapevo fin troppo bene cosa voleva dire sentirsi così, davvero, e volevo battermi al suo fianco.
"Semplicemente sono in una guerra persa fin dall'inizio" scrollò le spalle.
"James, dimmi cosa è successo"
"Sono solo continuamente sotto le loro fottute mani, i loro fottuti attacchi, ogni giorno un livido nuovo, ogni giorno una ferita in più che rimane aperta, semplicemente non ne posso più" esplose.
Quegli occhi così lucidi, pieni di rabbia, dolore.
"vai, avanti, insultami anche tu, dammi della femminuccia, fai pure, me lo merito"
Si fermò.
"No, tu non lo meriti, affatto"
"A quanto pare sì" spalancò le braccia nel vuoto, come se volesse accogliere il dolore intorno a lui.
"Non per me, James. Tu meriti il meglio"

Quando arrivammo a casa sua ormai pioveva a dirotto.
Avevamo camminato fino a casa in silenzio, ad ascoltare solo il rumore della pioggia e dei nostri passi veloci.
In un secondo il suo umore era cambiato drasticamente, il mare calmo che c'era era stato sopraffatto da una tempesta.
"Scusa, meglio che torno a casa, mia madre si starà preoccupando..." sospirai quando aprì la porta "se vuoi parlare, tieni il mio numero di telefono" gli diedi un fogliettino ripiegato più volte.
Okay, era vero, lo avevo preparato già in camera prima di uscire perché volevo sentirlo anche via messaggi, ma questo lui non lo sapeva.
"Okay"
"Grazie del pomeriggio, buona serata" lo salutai allontanandomi dal suo vialetto.
"Okay, buona serata" rispose, di nuovo freddo.
Non ascoltai il mio istinto di urlargli contro e camminai dritta verso casa, per poi entrare subito per ripararmi dalla pioggia.
Avevo i capelli completamente bagnati.
Mi tolsi il trench appendendolo all'appendiabiti all'entrata per poi togliere le scarpe e andare in camera mia.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era una doccia calda per dimenticarmi di tutto.
Anche se quella foto mi tormentava troppo.
Ed ero certa di non poterla dimenticare tanto facilmente...

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