capitolo 6

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Quando uscii dalla doccia mi avvolsi nel morbido accappatoio nero.
Sì, era strano, ma a me era sempre piaciuto quel colore.
Quando rientrai in camera mi sorpresi nel trovare lo schermo del mio telefono acceso.
Appena aprii le notifiche dei messaggi mi si fermò il respiro per un momento.
*Ciao Leah, sono James.*
*ci sei? Stai bene?*
*scusa per prima, davvero, non volevo trattarti così*
Awh, James.
Gli riposi:
*Ehi, tutto bene, non ti preoccupare* per poi chiudere Whatsapp.
La stanchezza iniziava a farsi sentire, così decisi di vestirmi con il pigiama, tanto non sarei andata da nessuna parte quella sera, non ero una di quelle ragazze che uscivano spesso.
Appena posai il mio nuovo libro di Oscar Wilde sul grembo, squillò il telefono.
Il nome di James illuminò lo schermo.
"Pronto?"
"Leah?"
"Immagino di sì" ghignai.
"Davvero, sono mortificato per oggi pomeriggio"
"Ehi, stai tranquillo, fai finta che non sia successo"
"Stasera mi farò perdonare, promesso"
"Stasera?" Chiesi, confusa.
C'era qualcosa di programmato per stasera? No.
Glielo avevo chiesto io di venire e non me lo ricordavo? No.
Dio mio, mamma.
Avrei dovuto fare un bel discorsetto con quella donna, e al più presto, oltretutto.
"Oh, uhm, come vuoi. Ma sappi che io non sono arrabbiata, tranquillo"
"Va bene, a dopo, Leah"
"A dopo" terminai la chiamata.
Mi cambiai nuovamente e indossati una paio di leggins e un maglione.
Dopodiché scesi di corsa le scale e mi fiondai in salotto.
"Mamma, ma affidarmi no, eh?" Mi accigliai.
"Oh, giusto. Leah, stasera viene qui James con la sua famiglia, dobbiamo organizzarci"
"Organizzare cosa?"
Perché non mi dicevano mai niente?
"Una festa" rispose mio padre.
"Oh, okay" tornai indietro.
Avevo sentito male, sì.
"Tu starai con noi" aggiunse mia madre.
No, non avevo sentito male.
"Va bene, va bene. Ma almeno avvisatemi la prossima volta" sbuffai tornando in camera.
Ero...felice?

Quando arrivarono corsi restai chiusa in camera, volevo finire di leggere il ventesimo capitolo del mio nuovo libro.
Trovavo molto affascinante il modo in cui si esprimeva Oscar Wilde.
Stavo ritirando il libro al suo posto sulla mensola quando qualcuno bussò alla porta.
"Mamma, arrivo, un secondo!" Sbuffai alzandomi dal letto.
Camminai scalza sul pavimento freddo fino alla porta per poi aprirla con nonchalance.
"Ehi, Leah" sorrise.
Quanto potevo amare il suo sorriso?
"James" Ricambiai il sorriso "scusa, pensavo fossi mia madre"
"Scoppiammo a ridere, quando aprii di più la porta facendogli segno di entrare.
"Metto a posto questo casino e andiamo giù" annunciai riordinando la mensola.
"Devo parlarti"
"Dimmi"
Parlarmi? E di che?
Non dovevamo parlare di niente...giusto?
"Davvero, ciò che ho fatto oggi non era nelle mie intenzioni-"
"James, smettila, ti ho già detto che non importa, è anche colpa mia che ho insistito e ti ho irritato" lo bloccai.
Perché non mi voleva credere?
"No, non è colpa tua, anzi, mi hai aiutato"
"A far che?"
"A capirmi, credo"
"Perché?"
"Perché non l'ho mai ammesso"
"Cosa?"
Ancora non capivo.
"Che sto male, non l'ho mai ammesso ad alta voce" sospirò
"Beh, non è proprio un aiuto"
Okay, ero confusa. E tanto.
"Sì, se poi pensarci mi fa trovare la soluzione"
Sorrisi, lui ricambiò, ma era forzato, immagino.
"Voglio andare via da qua" ammise abbassando lo sguardo.
No.
Nononono.
Tutto tranne questo.
"James..."
"Voglio tornare in Irlanda, Leah, voglio ricominciare tutto da capo"
Dio, il dolore.
Non potevo sentirmi peggio di così, sentivo il mio petto vuoto, le lacrime minacciavano di uscire.
"Quando?" Esitai a chiederlo.
"Tra due settimane, mi trasferirò dai miei nonni a Dublino"
"Ragazzi, venite che la cena è pronta!" Chiamò mia madre.
Non sapevo se esserle grata o odiarla per aver interrotto il nostro discorso.
Sospirai uscendo dalla camera con lo sguardo basso.
"Leah-" mi bloccò per il polso facendomi girare verso di lui.
I miei occhi incontrarono i suoi e i brividi causati dal suo contatto aumentarono ancora di più.
"Grazie" sorrise debolmente per poi stringermi a sé.
Il suo profumo, il calore del suo abbraccio, il modo in cui mi strinse forte...tutto contribuì a distruggere ancora di più il mio muro.
Ed una lacrima scese.
"Ehi, stai piangendo?" Si staccò.
"No...no, sto bene" mentii "andiamo, ci aspettano"
Mi mossi per prima, lui esitò un po' per poi seguirmi giù per le scale.
Quando arrivammo in cucina i nostri genitori chi sorrisero ed entrambi ci sedemmo a capo tavola.
Mentre gli adulti discutevano animatamente io giocavo con la forchetta nel piatto, lo sguardo fisso nel piatto, ma non in un punto preciso.
Alzai lo sguardo velocemente e notai che stava facendo la mia stessa cosa.
Sentivo il petto squarciato al centro, come se lentamente si strappasse sempre di più ad ogni sguardo, ad ogni contatto.
Sapevo che non avrei dovuto affezzionarmi, ma non avrei potuto fare altrimenti.
Penso che nella vita possiamo scegliere molte cose, ma non possiamo scegliere chi amare.
"Leah, potresti farmi la cortesia di rispondermi?"
La voce di mia madre attirò la mia attenzione.
"Dimmi"
"Cos'hai?"
"niente" mentii.
Mentivo così spesso riguardo me stessa, ormai era un'abitudine...tutto sembrava più facile così, in un certo senso.
"Scusate ma non sto bene, vado di sopra" li informai poi.
Salii silenziosamente le scale e mi rinchiusi in camera.
Ero stanca, distrutta, mi sentivo quasi limitata da questa notizia.
L'unico modo era scappare da quel problema, almeno per il momento, e tornare in un mondo migliore.
L'unico mondo in cui posso stare bene con me stessa, con tutto, con tutti.
Il mio mondo, il suo mondo.
Il mio sogno, il suo sogno.

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