capitolo 8

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«Leah, mia piccola Leah,
sento il bisogno di scriverti queste parole, perché so che posso aiutarti, come te hai fatto con me, ricordi?
Sotto alla pioggia, tu che cercavi di portarmi a galla ed io che mi costringevo a soffocare nei miei stessi pensieri, strappandomi via un po' d'aria ogni volta, nell'agonia.
So che sei stata male, che ti sentivi sola, ma è stata la cosa migliore, mi hai aiutato, e devi stare bene per questo.
Sono stato egoista a fare quella scelta, ma era la cosa migliore da fare.
Adesso sto bene, ho trovato la mia vera famiglia, sono felice, e devi esserlo anche te.
Perché non devi mai permettere a nessuno di essere la ragione del tuo sorriso, del tuo magnifico ed incantevole sorriso.
Io sono il primo a non volerlo essere, non perché non ci tengo a te, ma proprio perché sei importante per me.
Tutti sbagliamo, tutti possiamo far male a tutti, anche senza volerlo.
E se a farti male è la persona che è la ragione del tuo sorriso, ti distrugge completamente.
Per questo non voglio essere quella persona, perché so che posso fare male, e tra tutte le persone che conosco, te sei l'ultima persona che vorrei mai distruggere.
Io non sono nessuno per poterti strappare quel sorriso, quell'arma così letale per tutti quelli che hai attorno, con cui frantumi ogni barriera, ogni muro, con cui riesci a far sorridere anche chi sta così dannatamente male.
Tu hai avuto questo effetto su di me, mi hai ricostruito il sorriso che ho lasciato disintegrare precedentemente, anno dopo anno, sbagliando a lasciarlo nelle mani sbagliate.
Te hai un dono speciale, e devi proteggerlo da tutti, anche da me.
Anche se va tutto male, non lasciare che tutto sia la tua vita, ma lascia che la tua vita sia il tuo tutto.
Tu devi essere la ragione della tua libertà, nessun altro.
Tu devi essere la ragione del tuo essere.
Promettimi solo questo, promettimi che ti prenderai cura di te stessa, senza lasciare mai che nessuno prenda in mano la penna e scriva la tua storia.
La tua storia deve essere scritta dalle tue mani, da quelle piccole e fragili mani dal tocco leggero, che scivolano delicatamente sui fogli del libro della tua vita, danzando, decidendo il destino di ogni azione.
Perché è questo che devi fare, devi decidere come far continuare le cose, non sono gli altri che devono decidere gli effetti che avrà una tua azione in futuro, ma lo devi decidere te, puoi farlo, puoi avere il controllo di tutto ciò che è il tuo essere, se solo ci provi.
Resisti ancora, non mollare, non puoi cadere nel vuoto, puoi continuare la tua scalata fino in fondo, so che hai la forza per farlo.
Lo so, l'ho sempre saputo, che sei un concentrato di forza, che sai tenere salda la presa.
Ma so anche che tutta quella forza, quell'energia, possono portarti ad esplodere, e non deve succedere.
Non succederà, se sarai te a deciderlo.
Hai tutto il tuo controllo, puoi decidere di essere felice, di essere triste, di essere arrabbiata, solo tu puoi farlo.
Ti prego di essere felice, perché è tutto ciò che meriti davvero.
Continua per la tua strada, potrà anche succedere di cadere, ma continua ad alzarti e corri ogni volta più veloce, cosicché tu possa superare tutti gli altri e vincere, sentirti finalmente libera, senza l'angoscia del sentirti schiacciata dalle idee altrui.
Sarai confusa per questa lettera, perciò ti scrivo questa frase, affinché tu possa capire il motivo di questa lettera, e non di una chiamata:
Silent paper speaks more than us.
È un verso della canzone che ho scritto in viaggio, pensando a te, a noi, a loro, a tutto.
Spero che capirai e che mi ascolterai, perché quando ti riabbraccerò voglio vedere i tuoi occhi di quel colore verde speranza che solo tu hai, quegli occhi immersi nell'euforia della voglia di lottare, come una piccola guerriera.
Sì, tu non sei una principessa, sei una piccola guerriera, con l'armatura, coricata nel fango della trincea, la divisa sporca, tutto così spento intorno a te.
Tutto tranne te, che risplendi dalla voglia di vincere.
E vincerai, ti mostrerai superiore alle parole, lo farai per te stessa.
Perché questa è la vera te, ed è ora di liberarla dalla prigione in cui la tenevi rinchiusa.
Io credo davvero in queste parole, Leah, e spero che tu farai lo stesso.
Tieni sempre la testa alta ed il sorriso al cielo, e conquisterai la tua vita.
Ci vediamo presto, piccola guerriera.
Manchi tanto, sappilo.

James.»

Finii di leggere quella lettera per la quarta volta nell'arco del pomeriggio.
L'avevo trovata davanti alla porta di casa appena tornata da scuola, i miei genitori non erano a casa e dovetti ritirare io la posta ricevuta.
Era passato un mese e mezzo da quando James salì su quell'aereo, ogni tanto ci eravamo chiamati, ma niente di più.
Mi mancava, ogni giorno.
Ogni attimo era una guerra tra me e me per non perdere il controllo e il senso della ragione.
Non ho mai portato rancore verso di lui, e mai lo avrei fatto, perché se si sentiva soffocato da tutto questo, non lo avrei biasimato.
Lo stesso che era toccato a lui, lo sentivo anche io, ogni giorno di più.
Ed era un incubo.
"Leah, sono a casa!"
"Arrivo subito, mamma!"
Chiusi delicatamente il libro di Charles Bukowski, la lettera piegata tra due pagine, per poi correre giù per le scale.
Quando arrivai al piano terra, la ritrovai in salotto mentre posava degli scatoloni evidentemente pesanti sul palquet.
"Io e tuo padre siamo andati a prendere gli ultimi scatoloni, sai, quelli rimasti in soffitta"
"Non sapevo della loro esistenza" affermai aprendone uno.
Mio padre entrò, guardando in cagnesco mia madre, paralizzata.
"Ho detto qualcosa di sbagliato?"
"No, assolutamente no" sospirò mio padre.
"Ritiriamo tutto noi, stai tranquilla"

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