Capitolo 17

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Leah's pov

Quando entrammo in casa trovammo mio fratello seduto sul divano, una tazza in mano.
Appena mi vide si alzò di scatto, venendoci incontro.
"Leah, tutto bene?"
"Sì, immagino di sì" arrossii tenendo lo sguardo basso.
James sorrise ad Anthony, che si sedette nuovamente sul divano.
Poi prese la mia mano e si avviò al piano di sopra, incitandomi a seguirlo.
Ed io lo seguii.
"Vorrei farti vedere una cosa" si aggiustò il ciuffo tirando delicatamente i capelli tra le sue dita.
Poi si sedette sul bordo del letto, ed io feci lo stesso, sedendomi al suo fianco.
"sono qui"
Lui prese un vecchio quaderno dal cassetto del comodino, e lo appoggiò sulle mie gambe.
"Cos'è?"
"Il nostro passato"
Lo fissai, confusa.
Poi decisi di aprirlo, incuriosita, e iniziai a leggere la prima lettera.
"L'ha scritto mia mamma quando eravamo in coma.
L'ho sempre portato con me ma non l'ho mai letto, non ne ho mai avuto il coraggio.
Poi mi è venuta in mente lei, oggi, e ho deciso di iniziare a leggerlo"
Non risposi.
Continuai a sfogliare quel quaderno, velocemente.
I miei pensieri che lo divoravano, cercando di assorbire con foga ogni parola che i miei occhi incrociavano.
"Va tutto bene?"
"Ti rendi conto? L'ha scritto lei, con le sue mani" quasi sussurrai, impegnata nel mio gesto apparentemente disperato.
In realtà, era così pieno di emozioni.
"Sì, lo so"
"James, questa potrebbe essere la risposta a tutte le nostre domande" finalmente alzai lo sguardo verso di lui, seria.
Ci fu un minuto di silenzio.
Un solo minuto per riuscire a ricomporre le mie idee.
Quando mi ripresi, iniziai a sfogliare velocemente verso le ultime pagine, affamata di verità, di fine.
Poi vidi la sua mano stringere il mio polso, bloccando il mio gesto.
"Vuoi davvero farlo?"
"sì"
No, non volevo farlo.
"Forse"
"Forse?"
"No" ammisi.
"Leah, se lo farai, finirà tutto"
"non lo so, stiamo girando a vuoto"
"No, non è vero.
Succederà se leggeremo il finale."
"Sono stanca, James"
"Leggeresti mai il finale della tua vita? Lo faresti davvero?"
"sì"
"Beh, io no. Noi stiamo vivendo per questo, capisci?"
"Stiamo anche male per questo" pensai ad alta voce
"E tu vorresti smettere di stare male?"
"Sì, assolutamente sì"
"Così rinunceresti anche al bene.
Quando ci facciamo del male, in realtà, ci facciamo anche del bene, e viceversa.
Se noi provassimo troppo bene, alla fine la nostra idea di "bene" perderebbe il suo vero significato, il suo valore.
Perché non lo proveremmo più, ci abitueremmo troppo, ignorandolo.
Per questo c'è il male: perché quando stiamo male, noi acquistiamo interesse, bisogno, di bene.
Questo ci tiene in vita e questo non possiamo evitarlo."
Mi spiazzò con le sue parole, soffiate delicatamente, piene di comprensione.
"Forse hai ragione, James, ma non pensi che stiamo patendo già fin troppo?" sospirai, chiudendo poco a poco il quaderno sulle mie gambe.
"Forse, ma vedila così: stiamo male adesso, ma staremo ancora meglio dopo.
Non devi vivere nascosta dal dolore, non da questo.
Questo, se vuoi vivere davvero, non puoi evitarlo."
"Il problema non è solo questo, è tutto insieme"
Si avvicinò a me, le sue labbra sfiorarono il mio orecchio.
"La maggior parte del dolore ce lo auto-infliggiamo, Leah, lo creiamo noi" sussurrò.
Arrossii, mi irrigidii.
"Non farti male" aggiunse, poi.
Quella frase avrebbe potuto avere qualunque significato.
Ma io reagii d'istinto, intendendola come ne avevo bisogno in quel momento.
Mi voltai verso di lui, lo sguardo basso.
Il suo tocco dolce mi fece alzare il viso, portando i miei occhi su di lui, sulle sue labbra.
E ci perdemmo in ciò che ci sembrava così folle, i nostri visi si stavano facendo sempre più vicini.
Ciò che avevo sempre immaginato, ciò su cui avevo molte volte soffermato i miei pensieri, cercando di classificarlo giusto o sbagliato.
Ma, in realtà, l'unica cosa sbagliata era pensarci.
Perché, se prima lo pensavo sbagliato, adesso era relativamente giusto.
Ma proprio quando le nostre labbra si sfiorarono, ci bloccammo entrambi per via di una suoneria.
Quando James cacciò dalla tasca il telefono, vidi impresso il nome di una certa Daisy.
Sentii una morsa nel petto che mi fermò il respiro, che mi paralizzò per un paio di secondi, il tempo che lui impiegò per rispondere alla chiamata.
E, prima che iniziasse a parlare, uscii dalla stanza, delusa.

James's pov

"Leah-" la richiamai, bloccandomi subito dopo essermi ricordato di essere al telefono.
Pensavo solo a lei.
"Leah?"
"Scusa, Daisy. Dimmi" sospirai.
"Oggi non c'eri a scuola, va tutto bene?"
"Io- sì, va tutto bene, ho solo avuto un contrattempo"
"Bene, perché sai che stasera c'è la festa di Dylan"
Ah, davvero?
"Sì, sì lo so" mentii.
"Conto sulla tua presenza"
"Ci sarò, tranquilla"
"Perché prima mi hai chiamata Leah?"
"Non chiamavo te" ridacchiai
"Oddio lei è lì?!" Gridò piena di emozione
"Sì, è arrivata stamattina"
"Voglio conoscerla, sei il mio migliore amico, sei obbligato. Portala con te stasera"
"ma-" mi bloccò.
"È un ordine" rise, poi chiuse la chiamata.
Il problema era convincerla, Leah.

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