capitolo 7

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"Dai, Leah. Avanti, ancora un passo, più vicina, un'ultima volta" la voce debole.
"No, ti prego, no. Andrà tutto bene, non dire così"
"Leah, vieni qui, ti ho detto" alzò il tono di voce il più possibile nonostante il dolore.
"Ti prego, Anthony, non farlo, resisti"
Quando mi avvicinai prese la mia mano tra le sue e, quando la ritrassi, trovai un foglio stretto nel mio pugno.
"Tu leggilo, leggilo quando tutto questo finirà"
"Non andartene, non farlo, Anthony" quasi piansi.
"A dopo, Leah".

"Ehi, tesoro, svegliati" sentii una voce in sottofondo "Leah, svegliati"
"mamma..." mugolai.
"Tutto bene?"
"Sì" mentii "sto bene"
"Cosa stavi sognando?" Si sedette al mio fianco sul bordo del letto, mi fissava negli occhi.
Stavo piangendo?
"Niente di che"
"Leah..."
"Non lo so, mamma...un certo Anthony, ma non lo so, non è la prima volta." Ammisi, poi sospirai.
Quel nome, quello sguardo, li conoscevo.
Io lo conoscevo, ma non lo sapevo.
"Mamma?"
Aveva lo sguardo perso, nel vuoto.
Quando la richiamati nuovamente trasalì.
"Sì?"
"Tutto okay?"
"Sì, immagino di sì. Vai a prepararti, James ti aspetta" si alzò senza degnarmi di uno sguardo.
Cosa avevo fatto di sbagliato?
Sbuffai per poi alzarmi dal caldo e comodo letto.
Erano solo le sei di mattina e già mi sentivo nel mezzo di una tempesta.
Sarebbe andata ancora tanto avanti questa sensazione?
Non avrei retto ancora molto.
No, affatto.
Mi vestii in fretta, non feci neanche caso al mio aspetto, non mi truccai, non aggiustai i capelli, mi vestiti semplicemente.
Poi presi il mio zaino e scesi in salotto, scalino dopo scalino, secondo dopo secondo, passo dopo passo.
Tutto mi sembrava così lento, il ritmo sempre più strano.
Tutto più lento, come se si fosse fermato il tempo.
"Leah, ti senti bene?" Mi richiamò James.
"Sì. sì sto bene"
"Non sembra, vuoi un aiuto?" Mi porse una mano.
"N-no..." cercai di parlare, ma non uscì niente, solo un tentennamento.
Non vidi più nulla, sentii solo delle forti braccia, le sue braccia, che mi tenevano.
Solo in quel momento mi accorsi che non ero forte come avevo sempre pensato.
Ero fragile, debole, ma non ci pensai mai.
Vivevo nell'illusione, nella convinzione della parola "bene".
Perché andava sempre tutto bene se mi convincevo.
Ma poi so sa, se si trattiene tutto dentro, poi si esplode.
E così fu.
Caddi, esplosi, in uno dei peggiori modi.
La piccola guerriera venne colpita, crollò a terra.

James's pov.

Quando scese le scale era pallida.
Non aveva il trucco è tanto meno si era messa a posto i capelli.
Ed era stupenda così.
Sì bloccò di colpo a metà scala per poi aggrapparsi al corrimano in legno pregiato.
Non stava bene.
"Leah, ti senti bene?" Le chiesi salendo le scale verso di lei.
"Sì. Sì, sto bene"
"Non sembra, vuoi un aiuto?"
Lei rispose debolmente un "no" mentre le sue ginocchia cedevano.
Cadde tra le mie braccia, ed io la strinsi forte a me, tirandola su da terra.
Chiamai sua madre che corse subito da me.
"Che è successo?" Chiese in preda all'ansia mentre prendeva le chiavi della macchina.
"Non ne ho idea, signora O'Connor"
Lei mi fece segno di seguirla alla macchina, ed io obbedii.

Appena arrivati all'ospedale le somministrarono una flebo, era debole, tanto debole.
Mentre sua madre compilava dei documenti io mi sedetti al suo fianco, lei sul letto ad occhi chiusi.
Mi sentivo così dannatamente in colpa.
Stava male, tanto male, ed io non me n'ero accorto fino a quella mattina.
I dottori mi spiegarono che era svenuta per via della mancanza di energie, a quanto pare non mangiava da giorni.
Ed io, da completo idiota, non me n'ero accorto.
Mi sentivo vuoto, sapevo che la colpa era la mia, lei stava male per me, ed io non l'avevo capito.
Avrei dovuto semplicemente starle lontano e non dirle niente.
Non dovevo dirle che sarei partito, l'ho solo fatta stare dannatamente male.
Io le facevo male.
Ma l'indomani sarebbe tutto finito, perché sarei dovuto partire.
Era solo questione di poche ore.
"James" entrò sua madre, liberandomi dai miei pensieri.
Mi alzai dalla poltrona blu tenendo lo sguardo basso.
Potevo solo immaginare come si sentisse.
"Grazie, James" mi sorrise.
A mia volta sforzai un sorriso per poi lasciarla sola nella stanza d'ospedale.
Leah sarebbe tornata a casa proprio l'indomani.
In un certo senso, anche io sarei tornato a casa.
La mia vera casa.

Quando rientrai a casa, trovai Katy seduta sul vecchio divano in pelle, in salotto, il thè caldo in mano e il giornale appoggiato sulle gambe.
Quando sentì chiudere la porta dietro di me, si girò, guardandomi.
"Ehi, James" salutò, alzandosi.
"Eccomi, mamma" strinsi i denti pronunciando l'ultima parola.
Non capivo perché continuavo a chiamarla così, ma capii che le fece piacere, dato che sorrise avvicinandosi a me.
Avrei comunque dovuto perdere quel "vizio".
"Allora, hai deciso?"
"Sì, ho deciso. Domani parto, ho il volo alle cinque e mezza" la sorpassai.
Non la guardai negli occhi, perché sapevo cosa avrei trovato nel suo sguardo.
Paura, dolore.
Ma sentivo che quella era la cosa migliore che potevo fare, sentivo il dovere di cercare.
Dovevo cercarli tutti.

Leah's pov.

"Leah, tutto bene?" Chiese.
Ancora lui, ancora quella figura, quella luce.
Non riuscivo a focalizzarlo, non riuscivo a capire chi fosse.
Ma quella voce, Dio, era una voce così famigliare e rilassante.
"Sì. Sto bene, Anthony"
Anthony, di nuovo lui.
Si avvicinò ancora di più, e riuscii a vedere un sorriso espandersi sul suo volto.
Quel sorriso.
"Forza, svegliati, Leah. Devi tornare"
Si girò prima che potessi focalizzare il resto del suo viso.
Iniziò a camminare lontano da me, nel vuoto, verso il vuoto.
La sua meta era la distanza.
"Chi sei?" Le parole mi uscirono spontanee e rimasi immobile guardandolo mentre si allontanava.
"Cerca. Devi solo cercare" rispose lui.
Aveva le mani dietro alla testa, i gomiti larghi, mentre camminava lontano da me.
"Alla prossima, Leah"

Impiegai un paio di secondi a capire dove mi trovavo.
La luce bianca quasi mi accecò quando aprii gli occhi.
"Mamma?" La richiamai girandomi verso di lei.
Era seduta sulla poltrona al mio fianco, dormiva con un cipiglio sul viso.
Si era addormentata con chissà quali pensieri su di me.
Non volevo svegliarla, così mi arrangiai sedendomi sul letto, la schiena contro alla testiera dietro di me.
I miei pensieri si focalizzarono sul sogno.
Avevo riconosciuto quel sorriso, lo conoscevo, ma non riuscivo a collegarlo a nessuno.
"Cerca. Devi solo cercare"
Cercare? E cosa?
Mi sentivo così esaurita e stanca, cosa significava quella frase?
E cosa intendeva con:"alla prossima, Leah"?
Ci sarebbe davvero stata una prossima volta?
Non lo sapevo, ma volevo scoprirlo.
Mi alzai dal letto, avevo bisogno di stare sola con i miei pensieri, e mia madre che russava non era un grande aiuto.
Dovevo allontanarmi anche io.

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