Quelle parole mi avevano presa così alla sprovvista che non seppi se rispondere che lo amavo anch'io o restare a bocca semidischiusa.
"Sì.. beh è da un po' che va avanti questa situazione. Mi sento.. un perfetto idiota." Sbuffò e mi fece ridacchiare.
"Non sei un idiota, Cameron. È una delle poche cose dolci che un ragazzo mi abbia mai detto." Ammisi ricordandomi di quando Carter mi aveva detto che un giorno ci saremmo sposati sotto un salice piangente. A quei tempi era tutto per metà già programmato. Mi sarei sposata con Carter come i miei volevano e avremmo avuto due o tre bambini. Era tutto perfetto e sotto regole precise a quei tempi.
La perfezione era tutto ciò che io odiavo. Non voglio la perfezione.
Pensate all'amore. Se quello fosse perfetto non ci sarebbe nulla, diventerebbe una massa di eventi monotoni e sequenziali, come dei fotogrammi che andrebbero a completare un lungometraggio già preparato.
"E ti amo anch'io." Deglutii. Quelle parole erano ancora difficili da pronunciare con lui ma il tempo sarebbe stato dalla nostra parte."Perché mi ami? Non dovresti amare uno come me?" Sì morse il labbro inferiore.
"Perché non dovrei?" Dissi con tono giocoso rigirando la situazione.
"Perché sono un pazzo omicida, signorina Henderson." Mi baciò il naso.
"Questo è ciò che c'è scritto nella tua cartella di detenzione?" Mormorai. In
realtà non volevo più saperne nulla della sua storia. Era più che sufficiente sapere che mi amava sul serio. Ma forse ero solo accecata dalla potenza di un sentimento quale l'amore."Sì. E non do tutti i torti a quella cartella." Le sue parole mi fecero riflettere.
"In che senso? Sei un pazzo omicida?" Deglutii. Oh mio dio.. eravamo in un riformatorio, era logico che qualcosa avrebbe dovuto pur fare per finire lì dentro.
"Non ti va si sapere la mia vera storia, Emma." Mormorò e mi baciò la fronte come sapeva di bloccare i miei respiri e pensieri.
"Sì, Cameron. Voglio saperla." Per una volta che si stesse aprendo con me, avrei colto all'istante l'occasione per ascoltare da quelle labbra un'altra storia che speravo fosse stato qualcosa di vero.
"Cambierai opinione su di me dopo quello che sarà il mio discorso?" Sembrava per metà una domanda e per metà un'affermazione ma io e lui non potevamo cambiare l'una con l'altro. Eravamo poli opposti che avevano trovato il punto della calamita che li univa. Non potevamo cambiare tutto ciò che avevamo costruito.
"No. Non sono una di quelle persone che passa subito ai pregiudizi, ti ricordo." Ed era vero.
"Saresti disposta ad avere una relazione con colui che potrebbe porre fine alla tua vita? Sono il pericolo fatto persona, Emma. Pensavo lo avessi intuito sa subito." Mormorò con
la voce roca che usava quando parlava di sé stesso e del suo tormentato passato."Sì." Risposi e penso che non sono mai stata sicura come in quel lontano momento.
"E allora avrai ciò che desideri." Mormorò cupo e prese la mia mano portandomi verso degli scaffali con tantissimi nomi e date di nascita a me sconosciuti. Arrivò alla "C" e estrasse una cartella con il suo nome.
Cameron Alexander Dallas. Dati personali.
Deglutii. Stavo per scoprire la sua vera storia. Mi sembrava qualcosa di totalmente surreale, pensavo che non si sarebbe mai fidato abbastanza di me per rivelarmi la verità.
"Dopo questo non vorrai più vedermi." Ammise."Non essere sciocco. Non rinuncio a te per una storiella." Lo fulminai con sguardo penetrando i suoi occhi con i miei.
"Hanno detto tutti così. Anche i miei genitori, o meglio mia madre. Mio padre non avrebbe speso una parola su di me." Soffocò un'amara risata.
"Io non sono tutti, ti ricordo." Continuai a guardarlo.
"Lasciamo stare." Borbottò e sospirai.
"Da dove vuoi che inizi?" Mormorò."Dal principio, suppongo." Annuì e presi la sua mano destra uscendo lentamente dalla biblioteca. Ci dirigemmo verso il settore A, ovvero i dormitori, con ancora quella cartella in
mano. Faticai nel credere che stesse accadendo sul serio. La persona che amavo e che allo stesso tempo riuscivo a temere, stava per parlarmi.
Entrai per la prima volta nel dormitorio maschile. Se quello femminile era scandalosamente sporco e maleodorante desidererei non ricordare gli odori sgradevoli provenienti da tale dormitorio. I materassi a terra erano sporchi e tinti di un color rame provocato dalla ruggine. Evitai di commentare anche solo mentalmente il posto e mi sedetti dove Cameron mi indicò. Si pose accanto a me e mi guardò profondamente prima di aprire la cartella. I dati erano semplici e categorici.Nome: Cameron Alexander
Cognome: Dallas
Età di prima detenzione: 12 anni
Età di ultima detenzione: 15 anni
Età attuale: 17 anni
Data di nascita: 8 settembre 1942
Motivo di detenzione: OmicidioAi dati erano allegate delle foto di Cameron, una frontale, due che riportavano il suo perfetto profilo destro e sinistro, e una da dietro. Tutte e quattro rigorosamente grigie come il resto dell'edificio e scattate a metà busto. Sulle labbra di Cameron si intravedeva il suo solito ghigno malvagio che metteva in mostra per far si che la gente lo vedesse come un duro invece che per come fosse realmente. Lo guardai negli occhi.
"Omicidio anche tu? A dodici anni?" Mormorai studiando la sua espressione preoccupata che cercava una via per non mostrare la sua evidente vulnerabilità al momento.
"Sì. Ora devo spiegarti anche tutto?"
Sospirò. Non pensavo che il primo a proporre di sviscerare per bene la situazione sarebbe stato lui.
Annuii guadagnandomi il suo ennesimo sospiro che per una decina di minuti fu l'ultimo."Era l'ultimo mese di estate del 1954. Il giorno del mio dodicesimo compleanno. Non mi era mai piaciuto il mio compleanno." La sua espressione addolorata e tormentata dai fantasmi del passato. "Era il giorno in cui mia nonna era morta e lei era la mia seconda madre insieme a mia mamma. Quel giorno ero nel culmine della mia vulnerabilità. Sono cresciuto con storie dell'orrore. Sapevo bene come usare un coltello. Mio padre stava giusto affidando il coltello svizzero da carne che utilizzavano solo la domenica, quando i pasti in casa mia erano decenti e potevano essere definiti tali. Saranno state forse le ventitré. Stavano pulendo il caos che quelli che avrebbero dovuto essere i miei amici avevano combinato a quella che sarebbe dovuta essere la mia festa di compleanno. Non mi ero divertito. Ero in un angolo a pensare a tutto ciò che mi mancava. Non ho mai avuto una vita da ragazzo ricco, pieno di soldi fino al collo. La mia famiglia era piuttosto povera ma tiravamo avanti. Mia sorella, Sierra, lavorava in un bar del posto mentre io scaricavo dei sacchi importati da città lontane da lunghi e pieni camion da trasporto." Prese aria dopo l'inizio del discorso. "Insomma, questi muscoli non sono usciti dal nulla." Buttò il tutto sull'ironia e mi fece sorridere appena ma in modo triste. "Dicevo, quel giorno ero di una malinconia sovrastante. Sentivo quasi un.. peso, sulla mia anima. Iniziai a sentire le voci. Voci cattive. Io li chiamavo i Sussurratori da piccolo." Mormorò. Sembrava stesse raccontando una storia dell'orrore.
"Mi dicevano cose cattive. Mi portarono all'ammazzare l'ultimo bambino rimasto a casa mia, il quale pazientemente attendeva l'arrivo della mamma. Quel bambino non mi era mai stato a genio ma certo non meritava di morire. È questo il problema. Io so che non si fa ma lo faccio lo stesso." Sembrava stesse per piangere. La sia voce tremava appena e la schiarì per non dar nulla a notare.
"Fatto sta che nel vedere quel sangue provai piacere. Mi sbatterono qui per la prima volta. Raccontai la storia delle voci a un paio di persone che la spifferarono a tutti. Ormai tutto il riformatorio sapeva delle cose che sentivo ma che nessuno mai pronunciava. Ormai non le sento da tre anni ma ho sempre paura che tornino. È come avere in testa sempre la stessa musica. Provi e riprovi a togliere quel tormentone dalle tue orecchie ormai assillate ma è inutile. Sono più forti di qualsiasi parola. Ecco perché tutti mi temono. Hanno paura che i miei Sussurratori tornino a tormentarmi e possa fare del male a chi ho intorno."
Mi guardò come per mettermi sull'attenti e raggelai. Ecco perché teneva tutta la gente a cui teneva lontano da lui. Per un momento potei dire di essere grata a quel ragazzo. Cercava sul serio di proteggermi dagli altri, proteggendomi allo stesso tempo da lui stesso. Non interruppi il suo discorso e non accennai una vocale finché non fu lui a cedermi la parola con una sola domanda.
"Hai paura?" Sussurrò. Ci pensai sopra e scossi la testa."Come potrei avere paura dell'unica persona che cerca di proteggermi dal
mio passato, presente e futuro?" Mormorai e lui fissò lo sguardo nel mio. Presi un gran respiro sapendo che la storia era appena al principio e mi preparai psicologicamente a ciò che sarebbe venuto dopo.
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Stolen ➳ Wattys 2016 WINNER
FanfictionVincitore premio #Wattys2016, Categoria: "Apripista" Non tutti i posti di questo mondo, in cui ci si sente a casa, sono quel classico paradiso al quale la gente pensa di solito. Alcuni oscuri angoli di questo mondo non dovrebbero nemmeno esistere. A...