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Alex

La penna scivolava veloce sul foglio, mentre scrivevo tutte le idee che mi passavano per la testa. Era ormai da una settimana che il cosiddetto "blocco dello scrittore" non mi aveva lasciato tregua, e ora che finalmente avevo trovato il modo per continuare la mia storia, ne ero entusiasta: "Il principe Ramones si accinse ad arrampicarsi sulla parete del castello, con l'aiuto delle corde che i suoi amici avevano precedentemente fissato ai vecchi mattoni di pietra. Mai prima di quel momento, così vicino a raggiungere la sua amata, si era sentito spaesato, impaurito ed eccitato oltre ogni misura. Il loro amore tormentato avrebbe finalmente avuto un lieto fine, e il principe Ramones non chiedeva altro. Non gli importava di aver affrontato mille e più nemici pur di raggiungere l'amore della sua vita, fino a quando non avessero potuto stare insieme, avrebbe fatto di tutto per lei. Era questo che pensava mentre le sue mani si aggrappavano con forza alla corda, e i suoi piedi cercavano gli appigli migliori tra le fessure della pietra. Pensava al viso di lei, ai suoi capelli biondi e profumati, alle sue labbra rosee".

Mi faceva male la mano, dalla pressione e la forza con cui tenevo la penna, ma non importava. Finalmente potevo scrivere! Sarebbe stato tutto più semplice al computer, molto più veloce, ma l'unico che avevamo a casa serviva a papà per il suo lavoro, quindi meglio non metterci mano. Con la mia goffaggine avrei facilmente cancellato tutti i documenti importanti con un semplice click. Riempii quattro pagine di quaderno prima che papà rientrasse a casa. Non si poteva parlare di lui come di un uomo amorevole e sempre presente, ma faceva ciò che era in suo potere per farci vivere al meglio. Era tardi, ma non più del solito, il che non era un buon segno. Non avevo un'idea precisa della sua occupazione; aveva cercato di spiegarmelo tante volte, ma non ci avevo capito molto. Chiusi il quadernone blu che possedevo ormai da due anni e in cui avevo scritto un sacco di storie, e posai la penna sulla scrivania. Guardai Jonas, che si era addormentato nel mio letto pensando invece di riuscire a rimanere sveglio per l'arrivo di papà. Aveva la bocca socchiusa e il naso premuto sul cuscino, cosa che gli fece prendere un'espressione buffa. Il mio fratellino...

Gli diedi un bacio sulla fronte e mi diressi in cucina, dove papà stava mangiando la cena che avevo preparato prima di fare i compiti di scienze.

«Ciao tesoro» salutò, dopo aver posato il misero sandwich al tacchino, privato di due grandi morsi.

«Ciao». Sorrisi e mi sedetti di fronte a lui. Aveva i capelli spettinati e delle leggere borse sotto gli occhi che potevano ingannare uno sconosciuto, ma non me. Sapevo che in realtà era molto più stanco di quanto non sembrasse dal suo aspetto. Finì di mangiare e si pulì la bocca con il tovagliolo. «La nonna come sta?».

«Bene, dorme come sempre» risposi. Lei restava per lo più nella sua camera a riposare; era sempre stanca e certamente non aveva voglia di passare il suo tempo con noi "estranei". Già, perché per la maggior parte del tempo, noi eravamo degli estranei o persone inventate dalla sua mente. Negli ultimi anni mi aveva chiamata in tantissimi modi: Amy, Laura, Frances, Marie... ma quello che preferivo ero Jocelyn. Il nome di sua figlia, il nome di mia madre. Quel giorno ero stata da sola con lei e mi aveva raccontato una delle tante storie della sua gioventù. In seguito, nel modo più naturale di sempre, mi aveva chiamata Jocelyn; quasi ero scoppiata a piangere. Non l'avevo mai conosciuta e non sapevo nemmeno cosa le fosse capitato, per quale motivo non fosse più con noi. Adoravo comunque sentir parlare di lei dalla nonna; era l'unica che sembrava volerla ricordare. Papà addirittura aveva buttato tutto ciò che la riguardava, senza lasciarne alcuna traccia: foto, libri, vestiti... tutto quanto. Era come se non fosse mai esistita. Non avevo idea di cosa lo avesse fatto agire in quel modo, ma non avevo potuto far nulla per fermarlo: all'epoca ero solo una bambina. La nonna, a volte, nei suoi pochi momenti di lucidità, mi aveva raccontato di quando mia madre da giovane si divertiva a correre nella loro vecchia casa. Diceva che la sua piccola Jocelyn era veloce come il vento. Mi piaceva starla a sentire, immaginare un mondo diverso, in cui avremmo potuto vivere tutti insieme senza i problemi del mondo vero. Mi piaceva soprattutto quando raccontava di storie impossibili ed emozionanti, che parlavano di magia e assurde persone di un mondo incantato. Lei era fatta così, ed ero contenta non avesse tutte le rotelle al posto giusto: era speciale.

Il Dono - In viaggio verso l'aldilàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora